L’Agronomo segnala che…

112834-600x400Le proteine vegetali sono al centro dell’attenzione della politica agraria comunitaria e nazionale.

Due eventi politici confermano questa affermazione:

- la nuova Pac 2014-2020 ha inserito una dotazione specifica nel sostegno accoppiato;

- il ministro Maurizio Martina le ha inserite nelle proprie linee programmatiche.

Ampie ragioni giustificano l’attenzione alla produzione di proteine vegetali, soprattutto nel nostro Paese, che vive di un cronico deficit di approvvigionamento.

Le colture

Le colture destinate alle proteine vegetali sono: piante proteiche (pisello proteico, fave e favette, lupino dolce), proteoleaginose (girasole, soia, colza) e foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, ecc.).

Tali colture consentono al produttore agricolo di migliorare l’ordinamento produttivo, stimolando la rotazione tra colture depauperanti e colture da rinnovo, interrompendo la monosuccessione di cereali. Inoltre contribuiscono a favorire la rotazione, con molteplici benefici ambientali:

- migliorano la struttura e la fertilità del terreno;

- riducono l’impiego di fertilizzanti di sintesi e di agrofarmaci;

- evitano i gravi rischi di abbandono e/o di depauperamento dei terreni a causa della monocoltura di cereali.

Tali vantaggi hanno spinto l’Unione europea a promuovere un “piano proteine vegetali” che, tuttavia, è stato lasciato alla volontà degli Stati membri e solo in pochi hanno colto questa opportunità.

Nell’attuale articolo 68, la Francia ha destinato 40 milioni di euro annui per sostenere la produzione di proteine vegetali. Nessun segnale dall’Italia!

Il nuovo sostegno accoppiato

L’opportunità più concreta per stimolare la produzione di proteine vegetali deriva dalla nuova Pac 2014-2020.

Gli Stati membri possono destinare una percentuale del massimale nazionale per concedere aiuti accoppiati per una larga gamma di prodotti: cereali, semi oleosi, colture proteiche, legumi da granella, lino, canapa, riso, frutta a guscio, patate da fecola, latte e prodotti lattiero-caseari, sementi, carni ovine e caprine, carni bovine, olio d’oliva, bachi da seta, foraggi essiccati, luppolo, barbabietola da zucchero, canna da zucchero e cicoria, prodotti ortofrutticoli, bosco ceduo a rotazione rapida.

L’obiettivo di questa tipologia di pagamenti diretti è di concedere un sostegno accoppiato a quei settori o a quelle regioni in cui esistono determinati tipi di agricoltura o determinati settori agricoli che:

- si trovano in difficoltà;

-rivestono una particolare importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali.

Il finanziamento del pagamento accoppiato deriva da una percentuale fino al 13% del massimale nazionale. Inoltre gli Stati membri hanno la possibilità di aumentare il finanziamento del pagamento accoppiato del 2%, arrivando quindi fino al 15%, per sostenere la produzione di colture proteiche.

L’importo massimo a disposizione dell’Italia per le proteine vegetali è di 79 milioni di euro (2% del massimale dei pagamenti diretti nel 2015) destinato a scendere fino a 74 milioni di euro (2% del massimale dei pagamenti diretti nel 2019).

Le scelte nazionali

Le decisioni degli Stati membri sul sostegno accoppiato dovranno essere notificate alla Commissione entro il 1° agosto 2014.

L’Italia dovrebbe cogliere questa opportunità per stimolare la produzione di proteo-leaginose (soia, girasole e colza), di leguminose proteiche (favino, pisello proteico, ecc.) e di foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, ecc.) e di foraggi essiccati.

Nel periodo 2010-2014, l’Italia non ha colto questa possibilità, ma stavolta è proprio la volta buona.

Il ministro Maurizio Martina nelle linee programmatiche, presentate alla Camera e al Senato, ha affermato l’importanza di realizzare un piano proteine vegetali su vasta scala, al quale sarebbero associati una serie di importanti obiettivi:

1) ridurre la dipendenza dall’estero in termini di approvvigionamento di proteine vegetali: oggi si importa il 90% circa delle farine di soia e di girasole, che rappresentano la principale base proteica dell’industria mangimistica italiana;

2) ridurre l’inquinamento da nitrati, nelle regioni del bacino idrografico del fiume Po, grazie alla reintroduzione delle rotazioni colturali tra cereali e colture “azotofissatrici”;

3) offrire una valida alternativa produttiva da avvicendare ai cereali.

Queste affermazioni fanno presagire la scelta italiana di inserire le proteine vegetali nei settori del sostegno accoppiato, seppure non ci sono ancora ipotesi sullo stanziamento e sugli importi ad ettaro.

Il greening e il PSR

Nella Pac 2014-2020, oltre al sostegno accoppiato, sono previsti diversi altri strumenti per lo sviluppo di colture proteiche: facilitazioni nel pagamento ecologico (greening), misure agro-climatico-ambientali dei nuovi PSR, PEI (Programma Europeo per l’Innovazione).

Il Parlamento europeo ha chiesto espressamente “un piano strategico di approvvigionamento di proteine vegetali che consenta all’Unione di ridurre la sua forte dipendenza dall’estero”.

Nell’applicazione del green-ing, le superfici occupate da colture che fissano l’azoto (colture azotofissatrici), assolvono l’impegno di aeree ecologiche. In altre parole, una superficie a erba medica, a soia o favino consente di ottemperare al 5% delle superfici ad aree ecologiche, previste dai vincoli del greening.

I nuovi PSR

Nei nuovi PSR è prevista una misura, i pagamenti agro-aclimatico-ambientali, che si sposa perfettamente con i vantaggi delle colture proteiche.

A tal fine si può prevedere una rotazione obbligatoria con almeno una coltura proteica, nonché un maggiore sostegno alle zone di pascolo permanente, comprese le miscele specifiche di foraggi verdi e leguminose.

Un’altra possibilità è la concessione di sussidi per gli agricoltori che producono colture proteiche con sistemi di rotazione che contribuiscono a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e il deficit di colture proteiche nell’UE e a rafforzare la lotta contro le malattie e la fertilità dei suoli.

L’innovazione con il PEI

Il Parlamento europeo ha invitato a sostenere la ricerca in materia di riproduzione e fornitura di sementi per le colture proteiche nell’Ue, a migliorare i servizi di divulgazione e, nell’ambito dello sviluppo rurale, i servizi di formazione per gli agricoltori sull’uso della rotazione.

A riguardo, l’iniziativa europea per l’innovazione in agricoltura (PEI) della Commissione europea dovrebbe istituire ungruppo di lavoro sullo sviluppo di colture proteiche, prendendo in considerazione anche la questione della biodiversità delle piante.

L’Italia e le proteine vegetali

L’eccezionale impennata dei prezzi della soia e delle farine proteiche nel 2012 ha messo in evidenza il grave rischio di una tale dipendenza estera di proteine vegetali. Basti pensare all’aumento del prezzo della soia che in Italia è passata da 200 euro/ton del 2005 agli 550 euro/ton nel 2013; oggi si attesta sui 470 euro/ton (fig. 1).

Il deficit europeo ed italiano di proteine vegetali è rilevante. Nell’Ue, la produzione totale di colture proteiche occupa attualmente solo il 3% dei terreni coltivabili e fornisce solo il 30% delle colture proteiche utilizzate come alimenti per animali nell’UE, con una tendenza, negli ultimi dieci anni, all’aumento di tale deficit.

L’obiettivo non è di produrre nell’Unione europea la totalità del fabbisogno, ma migliorare l’approvvigionamento interno a vantaggio degli utilizzatori, soprattutto gli allevatori.

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112453_420x270Il 23 gennaio 2015, il ministro delle politiche agricole ha firmato il decreto sulla condizionalità (d.m. n. 180 del 23 gennaio 2015), valido per la nuova Pac 2015-2020. Il decreto aveva acquisito l’intesa raggiunta nella Conferenza Stato-Regioni del 18 dicembre 2014.

La condizionalità si applica ininterrottamente dal 2005 e la quasi totalità degli agricoltori ha ormai assimilato norme ed obblighi da rispettare. Anche nella nuova Pac si applica la condizionalità, con norme più semplificate, cui si aggiungono però a quelle ben più complicate del greening.

L’agricoltore deve prendere atto delle novità, al fine di applicare al meglio la condizionalità nella propria azienda.

I pagamenti diretti della nuova Pac 2015- 2020 sono disaccoppiati per l’89% del plafond, ad eccezione del pagamento accoppiato (11%). In altre parole, il sostegno è completamente svincolato dalla produzione e gli agricoltori non devono dimostrare di praticare una coltura o un allevamento.

La concessione dei pagamenti diretti, tuttavia, è subordinata all’osservanza della condizionalità, come nella vecchia Pac, ovvero all’osservanza di vincoli finalizzati alla tutela ambientale, alla sicurezza alimentare, al benessere animale e al mantenimento dei terreni in buone condizioni. La condizionalità è il corrispettivo del pagamento di base, come il greening lo è per il pagamento “verde” (fig. 1). Si può anche dire che il pagamento di base è la remunerazione spettante agli agricoltori per gli impegni della condizionalità, mentre il pagamento “verde” è la remunerazione per gli impegni del greening. In questo modo, l’Ue intende remunerare gli agricoltori per i benefici ambientali dell’attività agricola, in modo crescente e cumulato (fig. 1).

La normativa

Il rispetto della condizionalità è obbligatorio per il percepimento del pagamento di base, come anche per molti pagamenti della politica di sviluppo rurale, dalle indennità compensative all’agroambiente. Infatti, le norme della condizionalità sono contenute nel cosiddetto “regolamento orizzontale” (Reg. 1306/2013) e valgono sia per i pagamenti diretti (Reg. 1307/2013) sia per lo sviluppo rurale (Reg. 1305/2013).

Le norme della condizionalità sono previste dal Reg. 1306/2013 e sono applicate a livello di stati membri con appositi provvedimenti nazionali. La competenza è affidata al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e alle Regioni. Le disposizioni applicative della condizionalità, a livello nazionale, sono state emanate con il decreto ministeriale n. 180 del 23 gennaio 2015 e saranno completate con i provvedimenti regionali.

CGO e BCAA

Il Reg. 1306/2013 stabilisce che ogni agricoltore beneficiario di pagamenti diretti è tenuto a rispettare due categorie di requisiti (tab. 1):

1. Criteri di Gestione Obbligatori (CGO);
2. mantenimento del terreno in Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali (BCAA).

I CGO sono rappresentati da 13 direttive e regolamenti comunitari, di cui la maggior parte già in vigore da molti anni, il cui rispetto è soggetto a controllo.

Le Bcaa sono 7 norme e rappresentano le condizioni agronomiche e ambientali minime in cui dovrebbero essere tenuti i terreni agricoli. Le Bcaa da rispettare sono di natura agronomica (erosione, regimazione delle acque superficiali, struttura e fertilità dei terreni) e ambientale (gestione del set aside, copertura minima del suolo, mantenimento degli elementi caratteristici del paesaggio), per evitare rischi di deterioramento del suolo e degli habitat.

CGO e BCAA sono classificati in tre settori:
1. ambiente, cambiamenti climatici e buone condizioni agronomiche del terreno;
2. sanità pubblica, salute degli animali e delle piante;
3. benessere degli animali.

I tre settori sono a sua volta suddivisi in 9 temi:
1. acque;
2. suolo e stock di carbonio;
3. biodiversità;
4. livello di mantenimento minimo dei paesaggi;
5. sicurezza alimentare;
6. identificazione e registrazione degli animali;
7. malattie degli animali;
8. prodotti fitosanitari;
9. benessere degli animali.

I CGO includono obblighi già noti agli agricoltori, come la norme sul’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e sulla identificazione e registrazione degli animali.

Dov’è allora la novità? Una disposizione presente nella condizionalità sarà soggetta ai controlli della Pac e gli agricoltori inadempienti saranno sanzionati con una riduzione dei pagamenti diretti.

Come già detto, la condizionalità era già presente nella vecchia Pac e oggi è stata alleggerita; infatti i precedenti 19 CGO sono stati ridotti a 13; le BCAA sono state ridotte da 14 a 7 norme.

Ad esempio nella nuova condizionalità non esistono più alcune norme, come la densità minima di bestiame e la norma sull’avvicendamento delle colture, che fino al 2014 impediva la monosuccessione di cereali per un periodo superiore a 5 anni.

Le BCAA

Gli impegni per il mantenimento dei terreni in Bcaa sono differenziati per tipologia di uso del terreno (tab. 2):
- tutte le superfici agricole;
- seminativi;
- superfici non più utilizzate a fini produttivi (set aside).

A titolo di esempio riportiamo la BCAA 1 relativa all’Introduzione di fasce tampone lungo i corsi d’acqua.

Obbligo delle fasce tampone

Uno degli obblighi della condizionalità è l’introduzione di fasce tampone lungo i corsi d’acqua (BCAA 1); la norma era prevista nella Pac precedente, già dal 2012.

Al fine di proteggere le acque superficiali e sotterranee dall’inquinamento derivante dalle attività agricole, la norma BCAA 1 prevede:
- il rispetto del divieto di fertilizzazione sul terreno adiacente ai corsi d’acqua;
- la costituzione/non eliminazione di una fascia stabilmente inerbita di larghezza pari a 5 metri.

Il divieto di fertilizzazione riguarda i fertilizzanti inorganici entro cinque metri dai corsi d’acqua. L’utilizzo dei letami e dei materiali ad esso assimilati, nonché dei concimi azotati e degli ammendanti organici, è soggetto ai divieti spaziali stabiliti dal DM 7 aprile 2006.

Nel caso di assenza della fascia inerbita in corrispondenza dei corpi idrici superficiali di torrenti, fiumi o canali, l’agricoltore è tenuto alla sua costituzione; i corpi idrici soggetti al presente vincolo sono quelli individuati ai sensi del D. Lgs. 152/2006.

L’ampiezza della fascia inerbita viene misurata prendendo come riferimento il ciglio di sponda; i 5 metri di larghezza devono considerarsi al netto della superficie eventualmente occupata da strade, eccetto i casi di inerbimento, anche parziale, delle stesse.

Per fascia inerbita si intende fascia stabilmente inerbita spontanea o seminata di larghezza pari a 5 metri, che può ricomprendere anche specie arboree o arbustive qualora presenti, adiacente ai corpi idrici superficiali di torrenti, fiumi o canali (fig. 2).

L’ampiezza della fascia tampone viene misurata prendendo come riferimento il ciglio di sponda; i 5 metri devono considerarsi al netto della superficie eventualmente occupata da strade, eccetto i casi di inerbimento, anche parziale, delle stesse.

L’obbligo delle fasce tampone riguarda tutte le superfici agricole. Sono esclusi dall’obbligo delle fasce tampone i seguenti corsi d’acqua:
- scoline e fossi collettori (fossi situati lungo i campi coltivati per la raccolta dell’acqua in eccesso) ed altre strutture idrauliche artificiali, prive di acqua propria e destinate alla raccolta e al convogliamento di acque meteoriche, presenti temporaneamente;
- adduttori d’acqua per l’irrigazione: rappresentati dai corpi idrici, le cui acque sono destinate soltanto ai campi coltivati;
- pensili: corpi idrici in cui la quota del fondo è superiore rispetto al campo coltivato;
- corpi idrici provvisti di argini rialzati rispetto al campo coltivato che determinano una barriera tra il campo e l’acqua.

Sulla superficie occupata dalla fascia inerbita è vietato effettuare le lavorazioni, escluse quelle propedeutiche alla capacità filtrante della fascia inerbita esistente e alla riduzione del rischio di incendi. Sono comunque escluse tutte le lavorazioni che eliminano, anche temporaneamente, il cotico erboso, con eccezione per le operazioni di eliminazione/ reimpianto di formazioni arbustive o arboree, le quali vanno condotte con il minimo disturbo del cotico; in ogni caso, è fatto salvo il rispetto della normativa vigente in materia di opere idrauliche e regime delle acque e delle relative autorizzazioni, nonché della normativa ambientale e forestale.

Gli impegni sono soggetti a deroghe nel caso di risaie e nel caso dei corsi d’acqua “effimeri” ed “episodici” ai sensi del D.M. 16/06/2008 n. 131, come caratterizzati dalle Regioni e Provincie Autonome nelle relative norme e documenti di recepimento.

La deroga all’impegno della costituzione di fasce inerbite è ammessa nei seguenti casi: particelle agricole ricadenti in “aree montane”, terreni stabilmente inerbiti per l’intero anno solare, oliveti; prato permanente.

Le sanzioni

L’agricoltore che non rispetti le regole di condizionalità è soggetto ad una sanzione amministrativa a valere sui pagamenti diretti.

La riduzione o esclusione è applicata in relazione a tutte le domande di aiuto o di pagamento presentate dall’agricoltore nel corso dell’anno.

La riduzione od esclusione si applica esclusivamente qualora l’inadempienza sia imputabile ad atti od omissioni direttamente attribuibili al beneficiario e qualora una o entrambe le condizioni aggiuntive seguenti siano soddisfatte:
a) l’inadempienza è connessa all’attività agricola del beneficiario;
b) è interessata la superficie dell’azienda del beneficiario.

La responsabilità dei controlli è affidata agli Organismi Pagatori che possono affidare ad enti di controllo specializzati l’esecuzione e la verifica di tutti o di parte dei relativi controlli.

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118010_420x270L’Imu sui terreni agricoli è stata definita in tempi record per far fronte alle spese previste dal decreto Irpef, tra l’altro il bonus degli 80 €. Pagata il 10 febbraio, calcolata e versata in base alla classificazione sintetica dell’Istat: comuni montani, parzialmente montani e non montani.

L’esenzione Imu vale per i terreni agricoli e quelli non coltivati che si trovano in Comuni classificati come totalmente montani; esenzioni parziali per i terreni agricoli e non coltivati posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, situati in Comuni definiti parzialmente montani. Per calcolare l’Imu sui terreni agricoli, valgono le stesse modalità di calcolo Imu degli altri immobili, partendo dalla base imponibile che si ottiene dal reddito domenicale, riportato sull’atto di proprietà o sulla visura catastale, rivalutato del 25% moltiplicato per 135, che è il coefficiente dei terreni per i Comuni in cui si paga l’Imu, o 75, coefficiente valido per i soli coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali. Alla base imponibile ottenuta si applica l’aliquota fissa al 7,6 per mille.

A giudicare dai criteri di esenzione, sembra tutto ok per il settore agricolo, che pare averla scampata per l’ennesima volta, perché l’agricoltura agli occhi di molti “processatori da bar” è quella che prende e non dà, è quella che usufruisce dei contributi europei e beneficia sempre delle esenzioni.

Mai come ora, l’agricoltura è stata dipinta come “l’isola felice”, perché “è l’unico settore trainante della nostra economia” (?), perché “se vogliamo ripartire, bisogna ripartire dall’agricoltura”.

Bene. Troppo bene. In realtà, carte alla mano, le cose non stanno proprio così. Se l’agricoltura riesce a cavicchiarsela (in alcuni casi), è perché la crisi la conosce da tempi remoti, perché le prime crisi di mercato risalgono ai primi anni novanta e continuano tuttora, intervallate da alcune false speranze, che altro non erano che boccate d’ossigeno per evitare l’asfissia.

Eppure, nonostante il mercato dei cereali sia ai minimi storici, nonostante interi raccolti di frutta distrutti perché il prezzo di mercato non copriva neppure le spese di raccolta, nonostante la profonda crisi del settore latte, nonostante il rating bassissimo delle banche, nonostante i costi di produzione alle stelle, nonostante le 140mila aziende chiuse nel 2013, c’è ancora chi ostenta la ricchezza di questo settore.

Detto ciò, torniamo all’Imu.

Appena uscita la notizia dell’esenzione per coltivatori diretti e Iap, è iniziata la corsa frenetica delle associazioni di categoria per issare le bandiere sul risultato raggiunto.

Succede però, che nei 655 comuni parzialmente esenti, beneficino dell’esenzione soltanto i coltivatori diretti proprietari e regolarmente iscritti nella previdenza agricola.

Succede però che esistono numerosissimi casi in cui, Coltivatori diretti o Iap, raggiunta l’età pensionabile, non essendo più iscritti al regime previdenziale, abbiano ceduto in affitto (magari ad un figlio, subentrato alla conduzione dell’azienda, vista come unico sbocco a fronte della crisi occupazionale) i loro beni produttivi.

Succede però che questi ex coltivatori, si ritrovino a pagare fino a 100 €/ha in media, dopo una vita di sacrifici e di rinunce per acquistare qualche centinaia di metri quadrati di terreno in più per la loro attività. Succede, di fatto, che un ex coltivatore diretto, proprietario di 10 ha di terreno, che percepisce una pensione di 500 € mensili, si trovi a pagare 1.000 €/anno di Imu, per andare a finanziare un bonus di 80 € mensili (spot elettorale) sulla busta paga di chi, percepisce una mensilità pari a 3 volte la sua.

Ma si sa, la terra è capitale, e il capitale, non può rimanere in mano a contadini.

Fonte: http://www.agricoltura24.com/imu-agricola-cronache-da-un-isola-infelice/0,1254,54_ART_9068,00.html

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117993_420x270Uav (Unmanned Aerial Vehicle, cioè veicolo aereo senza pilota), Sapr (Sistemi Aeromobili a Pilotaggio Remoto), Apr (Aeromobili a Pilotaggio Remoto), quadricotteri, esacotteri, octotteri. Sono solo alcuni degli acronimi e dei sinonimi utilizzati per definire quelli che più comunemente sono conosciuti come droni e che, nati per l'utilizzo in campo militare, stanno velocemente trovando spazio anche in campo agricolo.

Ma a cosa è dovuto questo crescente interesse? In cosa possono essere utili i droni agli agricoltori? Fondamentalmente i droni possono sostituirsi (o affiancarsi) ai satelliti per fornire immagini, in quanto sono meno costosi ed effettuano rilievi a più alta risoluzione. Quali tipi di rilievi? Innanzitutto vedere una coltura dall'alto fotografa lo stato sanitario delle piante molto meglio che non a occhio nudo. Ma soprattutto, grazie ai dispositivi con cui si possono equipaggiare i droni (termocamere, fotocamere, sensori ecc.) si scattano immagini multispettrali e si catturano dati nello spettro dell'infrarosso e in quello visibile, creando così una visione complessiva della coltura che mette in evidenza differenze tra piante in salute e piante stressate. Tutti i dati raccolti, infatti, vengono gestiti da appositi software e, come per tutti i sistemi di agricoltura di precisione, utilizzati ai fini di una gestione agronomica ottimale. Negli ultimi mesi si stanno rapidamente susseguendo convegni e conferenze sull'utilizzo di questi velivoli in agricoltura. L'ultimo si è svolto a Roma, nell'ambito di un programma dal nome “Roma Drone Conference”, e ha avuto come protagonisti i costruttori di droni (e accessori correlati). «Se c'è un settore in cui i droni stanno passando rapidamente dalla fase di sviluppo tecnologico a quelle applicativa e commerciale è proprio l'agricoltura di precisione» - ha sottolineato il presidente di Roma Drone Conference, Luciano Castro -. Questo settore, infatti, si sta rivelando di grande interesse in Italia, in particolare per la relativa semplicità dell'utilizzo dei droni in aree agricole considerate 'non critiche' perché disabitate e prive di infrastrutture». A questo proposito l'Enac (Ente nazionale per l'aviazione civile) ha emanato di recente un regolamento specifico per operare in aree rurali non critiche con i droni. «Essere in regola ha un suo valore e offre dei vantaggi, soprattutto in agricoltura - ha ricordato il presidente Enac Carmine Cifaldi. -. Il drone trova la sua collocazione nobile in questo settore e come Enac vogliamo supportarlo». Oltre a certe regole da rispettare (ricordiamo la più importante, non superare i 70 metri di altezza e manovrare il drone entro un raggio massimo di 200 metri), c'è l'obbligo di assicurarsi. La Prs (Pagnanelli Risk Solution) ha elaborato una polizza ad hoc per l'agricoltura, la GrowGreen, che copre contro i rischi di responsabilità civile terzi (con o senza l'irrorazione di sostanze). Indicativamente, nel caso di attività di monitoraggio i premi vanno dai 320 ai 370 euro, a seconda della durata, mentre nel caso di attività di irrorazione si sale a 400-450 euro.

Quanto ai prezzi, sono molto variabili a seconda dei modelli. In ogni caso, al momento più che un acquisto da parte del singolo agricoltore, sembra verosimile un servizio da parte di un contoterzista o degli stessi costruttori.

I protagonisti

In occasione della Roma Drone Conference erano presenti alcuni costruttori di droni, molti dei quali sono partner delle ricerche condotte a livello pubblico. A partire da Ital-Drone (di Ravenna), che come evidenziato nel box in prima pagina, ha presentato assieme ad Adron Technology (di Udine) quello che è stato anche definito il drone contadino, perché progettato appositamente per l'agricoltura. Si chiama AgroDron ed è munito di un sistema automatizzato per la distribuzione di uova di Trichogramma, granuli, sementi e fitofarmaci sotto forma di polveri. Viaggia a una velocità di 8 m/s, per un'efficienza di 10 ettari/ ora, e il serbatoio ovuli ha una capacità di 500 pezzi, con cui si possono coprire 5 ettari. AgroDron è progettato per volare in modo continuativo sostituendo la batteria ogni 20 minuti, tempo che rappresenta l'autonomia di volo. La precisione nella distribuzione è di +/-1 m. Ovviamente AgroDron può anche sorvolare i campi per funzioni più tradizionali legate all'agricoltura di precisione, come l'acquisizione fotogrammetrica e il rilevamento multispettrale-termico per ricavare mappe di vigore sullo stato di salute delle piante, rilevare zone del terreno con eccessiva o carenza idrica ecc. ItalDrone fornisce inoltre gli strumenti necessari con cui equipaggiare i droni, a partire dalla telecamera multispettrale, con mini-PC per la registrazione dei dati, appositamente sviluppato per la spettrometria aerea: rosso, verde e bande Nir forniscono le informazioni necessarie per l'estrazione di indici come l'Ndvi (Normalized Difference Vegetation Index) e il Savi (Soil Adjusted Vegetation Index). Italdrone offre anche la telecamera a infrarossi (termocamera), appositamente sviluppata per la termografia aerea. FlyTop (di Roma) è stata protagonista con i suoi Apr equipaggiati di specifici sensori per l'agricoltura di precisione. Grazie alla partnership con 3D Target, ha potuto presentare al suo stand una serie di FlyNovex equipaggiati con diverse tipologie di sensori, dalle camere multi-spettrali Tetracam e iperspettrali Headwall ai sensori termici Flir, che si integrano con il software di pianificazione della missione FlyTop Manager e con l'elettronica di bordo, al fine di restituire il dato grezzo ottenuto dall'osservazione del terreno arricchito di tutti i necessari metadati. In tema di sensoristica per l'agricoltura FlyTop propone sensori per stima delle produzioni, monitoraggio del contenuto idrico e dell'efficienza delle tecniche di irrigazione, stima dell'effetto dei fertilizzanti, stima di danni biotici e abiotici, piani di gestione forestale, studi di impatto ambientale, stress idrico, analisi fotosintetica delle piante, capacità di ritenzione idrica del suolo e temperatura della copertura vegetale. SkyRobotic (di Terni) ha presentato sistemi Apr specifici per il rilievo ricorrente di dati sulle colture: una piattaforma di gestione dei dati in grado di ottimizzare l'elaborazione e la restituzione di mappe di interpretazione (Nir, Ndvi, di prescrizione) su principali supporti informatici. I dati ad alta precisione rilevati con frequenza dal drone vengono integrati con i dati ricavati da altre eventuali metodologie di rilievo. La piattaforma di storage e trasmissione dei dati ne consente una gestione locale o cloud. Attraverso l'attività di elaborazione vengono prodotte tutte le mappe in terpretative a supporto delle scelte per i trattamenti. I report e gli output vengono resi disponibili su vari dispositivi informatici. Tra i droni esposti da SkyRobotic il modello SF6 ad ala rotante, facile da usare anche dove il terreno presenta asperità e ostacoli grazie al decollo e all'atterraggio verticali. Pensato per l'uso intensivo in ''campo'', ha un'autonomia di 40 minuti di volo e la capacità di rilevare più di 50 ettari per ogni singolo volo. Si possono cambiare sensori in base all'esigenza di rilievo e pianificare il volo in modo automatico con funzioni specifiche per l'aerofotogrammetria. I sensori sono customizzabili per poter dare le risposte spettrali necessarie per il calcolo degli indici, a partire dall'Ndvi.

A proposito di sensori, Menci Software (di Arezzo) è leader nello sviluppo dei software di fotogrammetria per l'elaborazione di dataset di immagini acquisite da Sapr. Rivenditore esclusivo per l'Italia di SenseFly, promuove la sinergia del sistema Aps Suite sia con i dati di acquisizione di eBee (drone SenseFly) che con quelli di qualsiasi altro Sapr. In campo agricolo Menci Software ha presentato il drone eBeeAG, le cui caratteristiche principali sono un'autonomia di volo di 45-50 minuti, una velocità di crociera nominale di 10-25 m/s e la possibilità di equipaggiamento con indicatore di biomassa, indice di area fogliare, valutazione dello stress idrico e delle piante, analisi di concentrazione dei pigmenti, concentrazione dell'azoto, indice Ndvi / Savi, poligonazione e conteggio piante.

Infine, Cloud-Cam by Nuovi Sistemi, specializzata in progettazione, programmazione e sperimentazione dei droni, tra i tanti servizi offre quello del monitoraggio monti, parchi, zone boschive, laghi, fiumi e paludi, oltre al controllo delle frodi agricole. Tra i modelli proposti citiamo l'F8 (definito da Cloud-Cam il drone più piccolo al mondo, portata minima 300 m, massima 1 km, autonomia 8 minuti a pacco batteria), il Phantom2 (monta i sensori di generazione più avanzata, autonomia di 16-18 minuti a batteria a seconda del vento, può montare anche due camere) e l'x8 (un ibrido tra un aliante e un tuttala a delta, ideale per aerofotogrammetrie e monitoraggio di aree molto vaste).

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117986_420x270Le aree di interesse ecologico sono uno dei tre impegni del greening (tab. 1), che è entrato in vigore con la nuova Pac, dal 1° gennaio 2015. Molto spesso le aree di interesse ecologico sono anche indicate come ecological focus area (EFA), secondo la terminologia inglese.

L'applicazione delle EFA è molto complessa e suscita molte domande, per i suoi vari aspetti applicativi nei tanti casi pratici che in questi mesi devono affrontare gli agricoltori italiani. L'obiettivo di ogni imprenditore agricolo è quello di rispettare le EFA, ai fine di percepire il pagamento greening, senza diminuire la produzione e senza aumentare i costi.

Quando si applicano le EFA?

Il terzo impegno del greening obbliga gli agricoltori a destinare una quota del 5% dei seminativi dell'azienda ad aree di interesse ecologico (EFA).

Il 5% di EFA si applica solo alle superfici a seminativo; non si applica alle colture permanenti e ai prati e pascoli permanenti (tab. 1). Le aziende di dimensione inferiore ai 15 ettari a seminativo sono esonerate dall'obbligo delle aree di interesse ecologico (tab. 2).

La percentuale del 5% di EFA può essere aumentata al 7% a partire dal 2018, a seguito di una relazione della Commissione, che dovrà essere presentata entro il 31 marzo 2017, e di un atto legislativo del Parlamento europeo e del Consiglio.

Il greening è stato fortemente criticato dal nuovo Parlamento europeo, dal nuovo Commissario all'Agricoltura Phil Hogan e dalla maggior parte degli Stati membri, per cui l'ipotesi di aumentare le EFA al 7% nel 2018 appare poco probabile.

Quando non si applicano le EFA?

L'impegno di destinare il 5% dei seminativi ad EFA non si applica nelle aziende:
• con superfici a seminativo inferiori a 15 ettari;
• i cui seminativi sono utilizzati per più del 75% per la produzione di erba o altre piante erbacee da foraggio, per terreni lasciati a riposo, investiti a colture leguminose o sottoposti a una combinazione di tali tipi di impieghi, a condizione che i seminativi non sottoposti a tali impieghi non siano superiore a 30 ettari (tab. 3);
• la cui superficie agricola ammissibile è costituita per più del 75% da prato permanente, utilizzata per la produzione di erba o altre piante erbacee da foraggio o investita a colture sommerse (es. riso) o sottoposta a una combinazione di tali tipi di impieghi, a condizione che i seminativi non sottoposti a tali impieghi non siano superiore a 30 ettari (tab. 4).

Tipologie di aree ecologiche

Gli Stati membri decidono cosa può essere considerato come area di interesse ecologico, tenuto conto di un elenco previsto dal Reg. 1307/2013 (art. 46, par. 2):
a) terreni lasciati a riposo;
b) terrazze;
c) elementi caratteristici del paesaggio, compresi gli elementi adiacenti ai seminativi dell'azienda, tra cui possono rientrare elementi caratteristici del paesaggio che non sono inclusi nella superficie ammissibile;
d) fasce tampone, comprese le fasce tampone occupate da prati permanenti, a condizione che queste siano distinte dalla superficie agricola ammissibile adiacente;
e) ettari agro-forestali che ricevono, o che hanno ricevuto, un sostegno dai PSR;
f) fasce di ettari ammissibili lungo le zone periferiche delle foreste;
g) superfici con bosco ceduo a rotazione rapida, senza impiego di concime minerale e/o prodotti fitosanitari;
h) superfici oggetto di imboschimento, ai sensi dei PSR;
i) superfici con colture intercalari o manto vegetale ottenuto mediante l'impianto o la germinazione di sementi.
j) superfici con colture azotofissatrici.

Il significato tecnico e la descrizione delle suddette tipologie di aree di interesse ecologico è riportata nella tabella 5.

Il decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 ha stabilito che sono considerate come EFA tutte quelle elencate dal art. 46, par. 2 del Reg. 1307/2013 (tab. 5), ad eccezione delle superfici con colture intercalari. Lo stesso decreto ministeriale stabilisce le colture azotofissatrici, utilizzabili come aree di interesse ecologico (tab. 6). Su tali colture azotofissatrici sono posti due vincoli:
• rispetto dei vincoli della direttiva 91/676/ CEE (Direttiva Nitrati);
• distanza di almeno dieci metri dal ciglio di sponda dei corpi idrici individuati dalle Regioni e Province autonome ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e ad almeno cinque metri dal ciglio di sponda dei restanti corsi d'acqua, avuto riguardo agli obiettivi di cui alla direttiva 2000/60/CE.

Sulle colture azotofissatrici non ci sono vincoli realtivi all'uso dei diserbanti e/ concimazioni.

Le aree di interesse ecologico (EFA) devono essere situate (tab. 7):
• sui seminativi dell'azienda;
• anche adiacenti ai seminativi dell'azienda, nel caso in cui gli elementi caratteristici del paesaggio e le fasce tampone;
al di fuori dei seminativi, se trattasi delle superfici con bosco ceduo a rotazione rapida e delle superfici oggetto di imboschimento.
I terreni a riposo, le terrazze, gli ettari agroforestali, fasce lungo le zone periferiche delle foreste e le colture azotofissatrici devono essere sui seminativi dell'azienda.

Il bosco ceduo a rotazione rapida e le superfici oggetto di imboschimento, visto che queste superfici sono classificate come “colture permanenti”, possono essere situate anche al di fuori dei seminativi dell'azienda.

Gli elementi caratteristici del paesaggio e le fasce tampone possono essere situate anche adiacenti ai seminativi dell'azienda (fig. 1), ma non fuori dall'adiacenza dei seminativi (fig. 2 e 3).

Il calcolo del 5%

Il calcolo delle EFA deve tener conto dei seminativi e di alcuni elementi caratteristici delle EFA (art. 46, par. 1, Reg. 1307/2013).
Più precisamente, quando vengono considerati alcuni elementi caratteristici, il calcolo delle EFA è pari a:

EFA = 5% * (S + c + d + g + h)

S = seminativi;
c = superfici occupate da terrazze;
d = superfici occupate da elementi caratteristici del paesaggio;
g = superfici con bosco ceduo a rapida rotazione;
h = superfici oggetto di imboschimento con PSR.

Pertanto il calcolo delle EFA è pari:
• al 5% dei seminativi, se l'azienda dichiara solo i seminativi come EFA;
• al 5% dei seminativi più alcuni elementi caratteristici delle EFA.
Ad esempio, un'azienda con 100 ettari di seminativi e 10 ettari di bosco ceduo a rapida rotazione (dichiarati come EFA), deve calcolare il 5% di EFA su 110 ettari, pari quindi 5,5 ettari di EFA.

Altro esempio: un'azienda con 50 ettari di seminativi e 3 ettari di siepi e fasce tampone (dichiarati come EFA), deve calcolare il 5% di EFA su 53 ettari, pari quindi 2,65 ettari di EFA.

Fattori di conversione e ponderazione

I tipi di aree di interesse ecologico, elencate nella tabella 5, sono molto diversi tra di loro,sia per unità di misura (ad esempio le siepi di misurano in metri lineari) sia per valore ecologico (ad esempio il valore ecologico di un ettaro di terreno lasciato a riposo è superiore a quello di ettaro una coltura azotofissatrice).

Per semplificare l'amministrazione e tener conto delle caratteristiche dei tipi di aree di interesse ecologico, nonché per facilitarne la misurazione, gli Stati membri si avvalgono, quando calcolano gli ettari totali rappresentati dall'area di interesse ecologico dell'azienda, dei fattori di conversione e/o di ponderazione che figurano nell'allegato X del Reg. 1307/2013. L'Italia ha adottato gli stessi fattori di conversione e/o di ponderazione del regolamento comunitario (tab. 8).

Un fattore di conversione è finalizzato a trasformare la misurazione delle EFA in ettari.

Un fattore di ponderazione è finalizzato a trasformare il valore ecologico delle EFA.

Ad esempio, il fattore di conversione delle siepi (m/m²) è pari a 5 e il fattore di conversione è 2, quindi 1.000 metri lineari di siepe corrisponde a 10.000 m² di EFA.

Altro esempio: il fattore di conversione dei fossati (m/m²) è pari a 3 e il fattore di conversione è 2, quindi 2.000 metri lineari di fossato corrisponde a 12.000 m² di EFA.

Altro esempio: il fattore di ponderazione delle colture azotofissatrici è pari a 0,7; quindi 10 ettari di soia o favino o erba medica corrispondono a 7 ettari di EFA.

Gli agricoltori devono rilevare le aree di interesse ecologico presenti nella propria azienda (siepi, stagni, fissati, fasce tampone, ettari agroforestali, superfici oggetto di imboschimento, colture azotofissatrici, terreni lasciati a riposo, ecc.) per poi trasformarli in EFA, utilizzando i fattori di conversione e/o di ponderazione.

Se tali elementi non sono sufficienti, dovrà introdurre qualche nuova area ecologica (ad esempio una coltura azotofissatrice o terreni lasciati a riposo) per soddisfare il 5% di EFA.

Facciamo un esempio. Un agricoltore deve avere la presenza di 5 ettari di EFA. In primo luogo, l'agricoltore rileva le EFA strutturali presenti nella propria azienda: siepi, bordi di campi, alberi isolati, fossati e bosco ceduo (tab. 9). Tali elementi, considerando i relativi fattori di conversione e di ponderazione, sviluppano 29.300 m2 di EFA (2,93 ettari), che non sono sufficienti per soddisfare il 5% di EFA (5 ettari).

Per raggiungere questo obiettivo, l'agricoltore introduce 3 ettari di favino, che sviluppano 2,1 ettari di EFA, in modo da raggiungere i 5 ettari di EFA (tab. 9).

Le pratiche equivalenti

Per evitare di penalizzare quanti già adottano sistemi di sostenibilità ambientale, il Reg. 1307/3013 (art. 43, par. 3) prevede un sistema di equivalenza d'inverdimento in base al quale si considera che le prassi favorevoli all'ambiente già in vigore sostituiscano gli obblighi del greening.

Le pratiche equivalenti sono elencate nell'allegato IX del Reg. 1307/2013 e sono contemplate da:
• i regimi agroambientali dei PSR (Reg. 1698/2005 o Reg. Ce 1305/013) che adottano misure equivalenti;
• i sistemi di certificazione ambientale nazionali o regionali.

Il decreto ministeriale, in corso di emanazione, ha previsto che nel 2015 gli agricoltori non possono avvalersi delle pratiche equivalenti, ai fini del rispetto del greening. Questa scelta è dovuta al fatto che le pratiche equivalenti dovevano essere individuate dallo Stato membro per ogni PSR, ma i PSR 2014-2020 devono essere ancora approvati. Quindi l'individuazione delle pratiche equivalenti sarebbe dovuta avvenire all'interno dei PSR 2007-2013. Questa individuazione avrebbe avuto la validità per il solo anno 2015, mentre dal 2016 l'individuazione delle pratiche equivalenti sarebbe dovuta avvenire con i nuovi PSR 2014-2020. Per questa ragione, il decreto ministeriale ha evitato l'utilizzo della pratiche equivalenti per il 2015, rimandando questa decisione al 2016.

Gli effetti delle aree ecologiche

L'impegno delle aree di interesse ecologico provoca maggiori impatti per le aziende intensive, con più di 15 ettari a seminativo. Le aziende di collina o di montagna non avranno grandi difficoltà ad destinare il 5% dei seminativi ad aree di interesse ecologico, in quanto possono facilmente trovare delle superfici marginali che possono efficacemente essere destinate a terreni a riposo o dove sono presenti elementi caratteristici del paesaggio.

Invece, l'obbligo delle EFA è molto impattante per le aziende agricole ad agricoltura specializzata sia al Nord (es. maiscoltura della pianura padana) che al Centro-sud Italia (es. granidurocoltura del Tavoliere delle Puglie). Un'azienda interamente a seminativi dovrà sottrarre almeno il 5% della superficie per aree di interesse ecologico. In tali casi, l'agricoltore che non ha la convenienza ad introdurre il set aside ecologico (terreni lasciati a riposo), potrà valutare l'introduzione di una coltura azotofissatrice, come la soia che, oltretutto, beneficia del pagamento accoppiato. Oppure potrà scegliere di rinunciare al pagamento greening; alcuni maiscoltori della pianura padana hanno già valutato di rinunciare al pagamento greening pur di proseguire la monocoltura di mais.

La maggior parte degli agricoltori sta trovando soluzioni efficienti al vincolo delle EFA con le colture azoto-fissatrici, ad esempio la soia al Nord e le leguminose al centro-sud.

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117925_420x270Il mantenimento dei prati e pascoli permanenti è uno dei tre impegni del greening (tab. 1), che l’agricoltore deve rispettare dal 1° gennaio 2015. Dei tre impegni è quello meno stringente, ciononostante gli agricoltori devono prestare molta attenzione agli aspetti applicativi.

I vincoli, da rispettare, sono due:
1. nelle zone ecologicamente sensibili, gli agricoltori non possono convertire o arare i prati e pascoli permanenti;
2. nelle altre zone, gli agricoltori possono convertire i prati e pascoli permanenti, solo dopo l’autorizzazione di Agea.
Vediamo nel dettaglio.

Prati e pascoli in zone sensibili

Gli Stati membri designano i prati e pascoli permanenti ecologicamente sensibili sotto il profilo ambientale nelle zone sensibili della rete “Natura 2000”, contemplate nelle direttive 92/43/Cee (direttiva “Habitat”) o 2009/147/Ce (direttiva “Uccelli”), incluse le torbiere e le zone umide ivi situate, e che richiedono una protezione rigorosa per conseguire gli obiettivi di dette direttive. Inoltre, gli Stati membri possono designare i prati e pascoli permanenti ecologicamente sensibili anche al di fuori di tali zone. In Italia, il decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 attribuisce questa possibilità alle Regioni.

Gli agricoltori non possono convertire o arare i prati e pascoli permanenti nelle zone ecologicamente sensibili.

Diminuzione massima del 5%

Gli Stati membri devono assicurare che il rapporto tra “prati e pascoli permanenti” e la “superficie agricola totale” non diminuisca in misura superiore al 5%. Quindi gli Stati membri assicurano il mantenimento di una certa proporzione delle superfici a prato e pascolo permanente.

La quota, da tenere sotto controllo, si ottiene dal rapporto tra:
• superficie investita a prato e pascolo permanente;
superficie agricola totale dichiarata.

La verifica della diminuzione richiede un confronto tra la quota ex-ante e la quota di ogni anno dal 2015 al 2020.

La quota ex-ante (A), chiamata “quota di riferimento”, costituita da:
• superficie investita a prato e pascolo permanente nel 2012, più la superficie investita a prato e pascolo permanente nel 2015 che non è stata dichiarata nel 2012;
• superficie agricola totale dichiarata nel 2015.

La quota di ogni anno (B) si calcola dal seguente rapporto:
• superficie investita a prato e pascolo permanente di ogni anno;
• superficie agricola totale dichiarata ogni anno.

La variazione di B rispetto A non deve diminuire in misura superiore al 5%.

Obbligo a livello nazionale

Il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 prevede che l’obbligo di rispetto della quota “prati e pascoli permanenti” si applichi a livello nazionale; quindi il singolo agricoltore non deve avere preoccupazioni per questo impegno.

Tuttavia, qualora uno Stato membro accerti che il rapporto è diminuito di oltre il 5%, deve prevedere obblighi per i singoli agricoltori di convertire terreni a prato permanente. Il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014, per cautela, ha fissato questa percentuale al 3,5%.

La diminuzione dei prati e pascoli permanenti è spesso imputabile a un aumento degli imboschimenti; in tale caso non viene considerata come una diminuzione dei prati e pascoli permanenti, in quanto l’imboschimento è compatibile con l’ambiente.

Al fine di verificare il controllo sulle superfici a prati e pascoli permanenti, in Italia il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 impone che gli agricoltori possano convertire i prati e pascoli permanenti, solo dopo l’autorizzazione di Agea. L’autorizzazione di Agea è rilasciata entro 30 giorni.

La richiesta di autorizzazione non prevede un diniego da parte di Agea, ma solo la necessità di controllare l’evoluzione della superficie a prati e pascoli permanenti, al fine di dimostrare alla Commissione europea il rispetto della quota.

Quindi gli agricoltori interessati a convertire un “prato e pascolo permanente” in seminativi o colture arboree possono ottenere l’autorizzazione automaticamente.

Nessuna preoccupazione, solo un po’ di attenzione

L’impegno del mantenimento dei prati e pascoli permanenti è stato creato per salvaguardare i prati e pascoli permanenti considerati estremamente sensibili da un punto di vista ambientale.

Il mantenimento dei prati e pascoli permanenti era già presente nella vecchia Pac con una norma della condizionalità e, in sostanza, la situazione non cambia molto dal precedente obbligo di condizionalità.

In Italia, il rischio di diminuzione del 3,5% della quota è praticamente inesistente, in quanto l’interesse a convertire ad arare i prati e i pascoli permanenti è molto limitato.

In sintesi, gli agricoltori devono solo fare un po’ di attenzione e precisamente:
• nelle zone ecologicamente sensibili, non possono convertire o arare i prati e pascoli permanenti;
• nelle altre zone, possono convertire i prati e pascoli permanenti, solo dopo l’autorizzazione di Agea.

Il caso dell’erba medica

Un’attenzione particolare va posta alla definizione di “prato e pascolo permanente” (art. 4, par. 1, lett. h), Reg. 1307/2013): terreno utilizzato per la coltivazione di erba o di altre piante erbacee da foraggio, naturali (spontanee) o coltivate (seminate), e non compreso nell’avvicendamento delle colture dell’azienda per almeno cinque anni o più.

Quindi, un medicaio diventa “prato e pascolo permanente” dopo il 5° anno dall’impianto ossia dal 6° anno. Pertanto, l’agricoltore può arare il medicaio il 6° anno, mantenendo sempre il terreno a seminativo. Ovvero, dopo il 6° anno l’agricoltore può arare il medicaio, che ritorna a seminativo.

Questa norma, che è sempre esistita nella Pac, desta molta apprensione tra gli agricoltori, ma la preoccupazione è irragionevole; la novità è che Agea intende fare i controlli.

Qual è il problema, in fase di controllo, se il medicaio diventa coltura permanente? Nessun problema.

L’unica attenzione è l’impegno del greening, che chiede all’agricoltore di comunicare 30 giorni prima ad Agea tramite il Caa, l’aratura del medicaio e il ritorno a seminativo. Agea non può opporsi, deve solo tenere i conti dell’evoluzione dei prati e pascoli permanenti in Italia.

L’unico vero vincolo esiste nelle zone sensibili, contemplate nelle direttive 92/43/Cee (direttiva “Habitat”) o 2009/147/Ce (direttiva “Uccelli”), dove è vietata la conversione dei prati e pascoli permanenti.

Su questa questione si stanno ingenerando paure ingiustificate.

Fonte: http://www.agricoltura24.com/come-mantenereprati-e-pascoli-permanenti/0,1254,54_ART_9026,00.html

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117924_420x270Diventerà sempre più complicato effettuare i trattamenti in campagna con diserbanti e antiparassitari. Con l'adozione da parte delle varie Regioni del cosiddetto Pan, il Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, sono previste limitazioni nella difesa fitosanitaria non solo allo scopo di ridurre i quantitativi di prodotti chimici utilizzati finora, incoraggiando la difesa integrata delle colture, ma verranno introdotte vere e proprie no fly zone, o meglio no spray zone, dove non sarà possibile effettuare trattamenti di alcun tipo.

Sensibili anche le piste ciclabili - È il caso delle limitazioni introdotte dal legislatore all'uso dei prodotti fitosanitari nei pressi di trattamentiaree utilizzate dalla popolazione, proposito condivisibile come è ovvio per evitare di trattare vicino ad aree come parchi pubblici, campi sportivi, scuole, parchi gioco, frequentate spesso da bambini e ragazzi. Ma fra le aree cosiddette sensibili sono state inserite anche le ciclabili. Sappiamo che i Comuni italiani hanno in questi anni introdot-to migliaia di chilometri di piste per ciclisti, spesso in sfregio ai campi agricoli o addirittura frazionando corpi aziendali. Ebbene, non tutti sanno, soprattutto i diretti interessati, gli agricoltori, che non si potrà trattare fasce di rispetto lungo le ciclabili di larghezza inferiore a 30 metri! In queste fasce, che per appezzamenti molto lunghi potrebbero rappresentare una parte sensibile della superficie aziendale, il Pan prevede il ricorso a mezzi alternativi per il controllo di malerbe e parassiti, come mezzi meccanici, fisici e biologici. La norma afferma anche che la distanza minima dalle piste ciclabili di 30 metri può essere ridotta a 10 metri se l'operatore utilizza misure di contenimento della deriva (ad esempio barre da diserbo a manica d'aria), fatte salve, però, misure più restrittive determinate dalle autorità locali competenti. In altre parole, i comuni o altri enti territoriali potrebbero comunque pretendere i 30 metri, pur in presenza delle suddette misure di contenimento della deriva.

Maggiori costi colturali - Che si tratti di 30 o 10 metri, evidentemente, per i malcapitati agricoltori che si trovano ad avere a che fare con le ciclabili, vengono introdotte vere e proprie limitazioni all'attività agricola, non immaginabili al momento della costruzione delle piste stesse. Trattandosi di divieti e vincoli, ne consegue l'insorgenza di maggiori costi colturali. A parte la seccatura di dover stare attenti a misurazioni di ogni tipo nel corso dei trattamenti, è ovvio che il ricorso al controllo meccanico delle malerbe lungo tali fasce di rispetto, oppure l'utilizzo, quando possibile, di tecniche di controllo biologico per insetti e patogeni fungini, imporrà ai produttori agricoli interessati come minimo maggiori costi, ma spesso l'impossibilità di coltivare le normali colture agrarie previste dall'ordinamento colturale. Come si potrà coltivare mais, barbabietola o pomodoro in tali aree reputate sensibili? Molti, come è lecito pensare, troveranno la soluzione di rimpiazzare il seminativo con prati, che non dovranno essere trattati. Il tutto, comunque, con maggiori costi e minori rese. E chi pagherà questi costi e mancati redditi? Ovvio, la norma a tal proposito non dice nulla.

Fasce tampone lungo i corsi d'acqua - Quindi tempi duri per gli agricoltori alla prese con tali fasce di rispetto. Ma non dobbiamo dimenticare che già oggi esistono strisce di terreno che non possono addirittura essere coltivate. È il caso delle fasce tampone lungo i corsi d'acqua, previste dalla norma della condizionalità dei premi Pac, in cui, secondo quanto normato dalle Regioni, da alcuni anni non è possibile coltivare lungo torrenti, fiumi o canali, per larghezze comprese fra 3 e 5 metri. Le fasce tampone, infatti, devono essere inerbite e comunque non fertilizzate, rappresentando una vera e propria tara aggiuntiva a quelle già presenti in azienda. Il loro rispetto, come sappiamo, è poi oggetto di controllo e di eventuale regime sanzionatorio sui premi comunitari.

Efa e azotofissatrici: 5-10 metri dai fossi -
Infine, la nuova Pac, secondo gli intendimenti del Mipaaf, potrebbe introdurre un'ulteriore limitazione nella coltivazione dei terreni agricoli. Nella bozza di decreto ministeriale di recepimento della nuova riforma, in corso di approvazione, è sì prevista la coltivazione delle colture azotofissatrici al fine di costituire le aree di interesse ecologico previste dal greening (Efa), ma tali colture non potranno essere effettuate a meno di 10 metri dal ciglio di sponda dei corpi idrici principali individuati dalle Regioni e comunque a meno di 5 metri dalle sponde dei canali secondari. Ciò obbligherà gli agricoltori costretti a costituire le Efa a non seminare leguminose lungo canali, fossi e fiumi, inserendo al loro posto vere e proprie fasce tampone inerbite.

Insomma, gli agricoltori, che si tratti di piste ciclabili, colture azotofissatrici e fasce tampone, dovranno armarsi di cordella metrica e calcolatrice. Il tutto con meno superficie coltivabile e maggiori costi di produzione.

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117923_420x270L’Europarlamento ha dato l’ok definitivo alla direttiva che consentirà ai Paesi membri dell’Ue di limitare o proibire la coltivazione di ogm (organismi geneticamente modificati) sul territorio nazionale, anche se questi sono autorizzati a livello europeo.

La nuova legislazione è stata approvata con 490 voti favorevoli, 158 contrari e 59 astenuti (verdi e 5 stelle). Ora mancano solo l’imprimatur del Consiglio e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale Ue, poi toccherà a ogni Paese recepire le nuove regole, in primavera.

Al momento, l’unico ogm autorizzato nell’Ue è il mais resistente alla piralide MON 810 coltivato in Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania. Vietato invece in Austria, Bulgaria, Grecia, Germania, Ungheria, Italia, Lussemburgo e Polonia. La patata ogm “Amflora” è stata invece vietata dal Tribunale Ue nel 2013, dopo l’iniziale via libera della Commissione europea.

Le nuove norme dovrebbero consentire agli Stati membri di vietare la coltivazione degli ogm per motivi di politica ambientale diversi dai rischi per la salute e per l’ambiente già valutati dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa). Potranno inoltre vietare gli ogm per ragionicome la pianificazione urbana e rurale, l’impatto socio-economico, per evitare la presenza involontaria di ogm in altri prodotti e per obiettivi di politica agricola nazionale.

Gli Stati membri potranno inoltre, chiedere alle imprese produttrici di ogm di escludere i loro territori dal novero dei Paesi nei quali intendono chiedere l’autorizzazione europea alla coltivazione. Questa fase negoziale con le imprese non è peraltro più obbligatoria e gli Stati membri potranno decidere di passare direttamente al divieto di coltivazione. Infine, prima di vietare la coltivazione, gli Stati dovranno comunicarlo alla Commissione Ue e attendere 75 giorni per il parere, periodo durante il quale gli agricoltori non potranno comunque seminare i prodotti interessati.

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http://www.minambiente.it/bandi/bando-pubblico-prevenzione-spreco-alimentare 

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imagesAnche la nostra pasta potrebbe subire gli effetti dei cambiamenti climatici. Nell’arco dei prossimi quaranta anni il piatto simbolo del made in Italy sarà chiamato necessariamente ad evolversi, ad adattarsi alle mutate condizioni atmosferiche e in particolare all’aumento della concentrazione dell’anidride carbonica nell’aria. Pena perdita di qualità.
«Possiamo dire, semplificando, che i cambiamenti climatici sono promossi da un aumento della concentrazione della CO2 nell’atmosfera, che a sua volta determina il cosiddetto effetto serra con conseguente innalzamento della temperatura media, scioglimento dei ghiacci, maggiori rischi di eventi estremi (sia siccitosi, sia piovosi). Esistono scenari climatici differenti per i prossimi decenni, ma di sicuro sappiamo che la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è destinata ad aumentare: fino alla metà del secolo scorso si aggirava intorno alle 320 ppm (parti per milione), oggi siamo a 400 e nel 2050 dovremmo superare le 500». Ad affermarlo è Luigi Cattivelli, ricercatore del Centro di ricerca per la genomica del Cra e coordinatore di un progetto sperimentale volto a comprendere le implicazioni dei cambiamenti climatici sulla produzione e la qualità del frumento duro. «È chiaro che l’agricoltura è fortemente influenzata dal clima. Si ipotizza che nei prossimi anni alcune colture “mediterranee” come la vite o l’olivo verranno coltivate nel centro nord Europa. L’Italia, e in particolare il Mezzogiorno, potrebbe dover fronteggiare un aumento dei rischi di siccità e di eventi meteo particolarmente intensi, la diffusione di nuove specie o razze di patogeni, ma di sicuro non cambieremo le nostre produzioni tipiche».

Se rinunciare non è contemplato, adattarsi è d’obbligo. E qui entra in gioco il progetto DuCO (Durum wheat adaptation to global change) coordinato da Cattivelli e realizzato nell’ambito di Ager in collaborazione tra Cra, Cnr ed Enea. In che modo potrebbe mutare la coltivazione, la resa e la qualità del frumento in uno scenario di aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’aria? «In pratica abbiamo voluto attualizzare una condizione futura».

Per farlo i ricercatori hanno coltivato, presso un campo sperimentale a Fiorenzuola D’Arda e per due intere stagioni (2011-2013), 12 diverse varietà di frumento duro (molte in commercio) cresciute sia in condizioni “normali”, sia con una concentrazione di CO2 nell’aria pari a circa 570 ppm (valore atteso per il 2050). «L’aspetto importante è che, grazie all’utilizzazione del sistema Face (Free air CO2 enrichment - Arricchimento dell’aria aperta con CO2) abbiamo potuto testare la risposta delle piante in pieno campo, senza alcuna barriera fisica».

Due i macro-risultati della sperimentazione: aumento generalizzato della produzione e parallela diminuzione del contenuto proteico.
Questo perché l’anidride carbonica rappresenta un “fertilizzante” naturale per le piante, che crescono di più, ma subiscono un calo nel valore proteico, un parametro qualitativo fondamentale per il frumento duro e quindi per la nostra pasta.

«Interessante è che abbiamo registrato una grande variabilità di risposta: da un aumento della resa del 3-4% a un incremento superiore al 20% per alcune varietà. Stesso discorso, per il contenuto proteico: la diminuzione oscilla tra quasi 0 e il 10%». La sperimentazione ci offre insomma uno strumento per scegliere le caratteristiche che dovranno avere le piante adatte alla coltivazione nel futuro. «Abbiamo 40 anni di tempo per predisporre le varietà più indicate» e abbiamo gli strumenti per non farci trovare impreparati di fronte a uno scenario diverso, ma non ingestibile. Il prossimo passo, finanziamenti permettendo, sarà testare le risposte del frumento a un altro fattore collegato ai cambiamenti climatici: la disponibilità idrica.

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