«Intendo evitare qualunque forma di polemica con altri ricercatori impegnati nella lotta al cinipide. Mi riferisco anche a tutti quelli che sono a favore dei trattamenti chimici per salvaguardare il castagno, ogni ricerca va rispettata perché collaboriamo tutti per raggiungere il medesimo obiettivo. Io, dal canto mio, mi limiterò ad illustrare i successi ottenuto grazie al trattamento biologico»: A parlare è il professore Alberto Alma, entomologo direttore del Dipartimento di Scienze Agrarie Forestali e Alimentari dell’Università di Torino e uno dei più accreditati studiosi a livello internazionale sulla lotta al Cinipide Galligeno.

Professore, la lotta biologica al cinipide in Piemonte va avanti da alcuni anni. A che punto siete?

«Nelle regioni del nord Italia la lotta biologica è iniziata 4-5 anni prima che nel resto d’Italia e i risultati sono stati eccellenti: l’anno scorso, qui in Piemonte, le galle (nidi del cinipide) erano praticamente scomparse. Per analizzare la produzione degli alberi di castagno bisognerà attendere il periodo di fruttificazione ma, a giudicare dalla fioritura che sta avvenendo in questi mesi e dalla vigorosità delle fronde, le piante registrano un ottimo stato di salute. La diffusione del cinipide è stata ricondotta a valori di soglia tollerabili in minor tempo rispetto a quanto avevamo preventivato: quando siamo partiti credevamo ci sarebbero voluti dieci anni per registrare i primi risultati rilevanti, ne sono bastati otto».

Il progetto nazionale Bioinfocast che doveva far fronte alla diffusione del cinipide ha compiuto due anni. Quali sono stati i risultati raggiunti?

«Il progetto Bioinfocast, frutto della collaborazione dell’Università di Torino con il Ministero italiano per le politiche agricole e forestali e l’Associazione nazionale “Città del castagno” ha centrato tutti gli obiettivi prefissati riducendo drasticamente la diffusione del Cinipide Galligeno ed equilibrandola con quella del torymus. Confesso che ero molto ottimista fin dall’inizio: dopotutto, in altre nazioni, la lotta biologica registra risultati eccellenti da tempo. Penso a realtà come la Cina, dove i castanicoltori fanno i conti col cinipide da più di quarant’anni e sono riusciti a debellarne la pericolosità grazie alla diffusione dell’insetto antagonista».

Professore, ci spieghi qualcosa in più sul progetto

«Quando è partito, nel 2013, il progetto Bioinfocast prevedeva trecento lanci di torymus in 17 regioni italiane, ne sono stati eseguiti più di cinquecento. Ai quali si sono aggiunti i mille del 2014. Questa gran mole di prove ha consentito di diffondere l’insetto antagonista in buona parte della penisola facendo riscontrare risultati positivi ovunque e conquistando il favore delle associazioni di castanicoltori che hanno portato avanti la lotta biologica».

La diffusione del torymus non può essere ostacolata dalla diversa conformazione territoriale delle nostre regioni?

«Per quanto in questo lavoro si parli sempre di ipotesi, la diffusione uniforme del torymus dimostra come questo insetto sia in grado di proliferare in qualunque habitat della nostra nazione, al pari dello stesso cinipide».

Eppure, nonostante i risultati che avete centrato, c’è chi ancora protende per il trattamento chimico. Spesso mettendo in evidenza il lungo periodo di tempo che serve al torymus per fare il proprio corso

«Rimango fedele a quanto detto in precedenza: non ho le competenza per discutere del lavoro altrui. Quel che posso dire con certezza, analizzando i risultati in nostro possesso, è che non conosco un caso di trattamento chimico che si è dimostrato maggiormente efficace del torymus ed in tempi più celeri».

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paesaggioFIRENZE – Al via il Programma di Sviluppo Rurale della Regione Toscana per il settennato 2014-2020. La Direzione generale agricoltura della Commissione UE ha infatti inviato la "comfort letter" che consente alla Regione di partire con l'attuazione delle misure previste in attesa dell'approvazione formale che avverrà dopo l'adozione del nuovo quadro finanziario europeo. In Regione c'è soddisfazione per un traguardo che viene considerato importante e per niente scontato: la Toscana è infatti nel gruppo delle prime 4 regioni italiane ad aver ottenuto l'ok dall'Europa. Questo risultato è frutto di un lungo lavoro di squadra tra l'assessorato all'agricoltura e tutti i partner più rappresentativi del mondo agro-alimentare, forestale, sociale ed economico, che si è articolato attraverso diverse fasi di concertazione, tutte caratterizzate da un forte spirito di condivisione e di proficua partecipazione.

L'approvazione del PSR si aggiunge a quella dei Programmi Operativi (POR) sui fondi europei per imprese e formazione: FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale) e FSE (Fondo Sociale Europeo), già operativi da qualche mese.

Il PSR mette a disposizione oltre di 961 milioni di euro, 91 in più rispetto al precedente periodo di programmazione 2007-2013. La quota comunitaria delle risorse è pari al 43,12%, la restante parte è cofinanziata dalla Regione e dallo Stato.

Il principio di base del nuovo PSR è quello di mettere non solo l'agricoltore, ma gli anche altri soggetti del mondo rurale, al centro delle azioni del Programma. Le azioni hanno l'obiettivo di permettere alle aziende di migliorare la competitività, contribuire alla conservazione dell'ecosistema e all'adeguamento ai cambiamenti climatici, allo sviluppo economico e sociale dei territori rurali, con particolare riferimento a quelli montani. Il tutto caratterizzato da un concetto trasversale che accompagni tutti gli interventi: l'esigenza di innovare i comportamenti e gli attori del sistema rurale, in un ambito di semplificazione delle politiche regionali.

Già con la conclusione della fase di negoziazione informale, prima della comfort letter ufficiale, la Regione ha dato il via ad alcuni bandi in anticipazione, condizionati all'approvazione del PSR, fra i quali i premi a superficie per le indennità compensative in zone svantaggiate e per l'agricoltura biologica. La Giunta Regionale ha inoltre approvato specifiche delibere per l'avvio della progettazione integrata attraverso i PIF (progetti integrati di filiera) e per il pacchetto giovani ed a breve usciranno i relativi bandi. Successivamente si prevede di dare il via alla misura sulla formazione, relativamente ai corsi necessari per l'ottenimento dei tesserini fitosanitari.

 

Focus su: Pacchetto Giovani, progetti di filiera, redditività e innovazione

Il Programma di sviluppo rurale 2014-2020 della Toscana, in coerenza con la nuova strategia Europa 2020, è basato su 6 priorità, che in estrema sintesi si riassumono in: innovazione, redditività, filiere, tutela dell'ambiente, promozione fonti energetiche rinnovabili, integrazione sociale. Di conseguenza il 45,62% dei finanziamenti, pari a 438,8 milioni di euro, è destinato alla redditività delle imprese agricole, alle tecnologie innovative, all'ammodernamento delle aziende e alla diversificazione, a promuovere l'organizzazione della filiera agroalimentare. Queste risorse pubbliche consentiranno di sostenere interventi per una spesa totale pubblico-privato di circa 1 miliardo di euro.

Il 30,9% delle risorse, pari a circa 297,3 milioni sarà destinato all'ambiente, ovvero alla conservazione, al ripristino e alla valorizzazione degli ecosistemi connessi all'agricoltura e alla silvicoltura, alla tutela della biodiversità, alla prevenzione dell'erosione dei suoli e alla loro migliore gestione.

L'11,8% dei finanziamenti, pari a 113,3 milioni serviranno ad incentivare l'uso più efficiente delle risorse idriche e dell'energia e a favorire l'uso di energie rinnovabili per ridurre le emissioni di gas serra. Le risorse per lo sviluppo economico e per l'inclusione sociale delle comunità rurali ammontano a 98 milioni di euro (10,2% del totale). Di queste 40 milioni andranno ad implementare la banda larga e ultralarga.

Il programma LEADER (interventi per promuovere lo sviluppo sostenibile delle aree rurali più fragili) avrà a disposizione 58 milioni di euro. La percentuale di risorse destinata all'assistenza tecnica è pari all'1,4%.

Una dotazione importante, pari a 81 milioni, che viene "spalmata" su tutte le misure, è destinata apromuovere il trasferimento di conoscenze e l'innovazione, con attività di formazione, informazione, servizi di consulenza e per stimolare la cooperazione e lo sviluppo di conoscenze nelle zone rurali. Un 'altra fetta importante sarà destinata alla progettazione integrata che verrà attivata sia con i Progetti Integrati di Filiera, sia con il Pacchetto Giovani. Si tratta di bandi multimisura, volti a promuovere progetti in cui vengono attivate più misure contemporaneamente.

Il primo bando sui PIF – in uscita nei prossimi giorni - stanzierà per l'anno in corso 90 milioni di euro. Il bando sul Pacchetto Giovani, che uscirà entro il mese di maggio, prevede uno stanziamento di 40 milioni. Per incentivare l'avvio di nuove imprese agricole sostenute da giovani (tra i 18 e i 40 anni non compiuti) è previsto un premio di primo insediamento di 40 mila euro, che diventa di 50 mila per le zone montane.

Grazie al nuovo Programma di Sviluppo Rurale la Regione conta di offrire opportunità finanziarie importanti agli agricoltori, ma anche offrire stimoli a creare qualcosa di nuovo, oltre ad offrire uno strumento per aggredire i problemi strutturali dell'agricoltura, come l'invecchiamento degli agricoltori e la perdita di aziende agricole, il dissesto idrogeologico, la frammentazione aziendale e le difficoltà ad impostare strategie di filiera.

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bandiIn attesa dell'approvazione definitiva da parte della Commissione Europea del Programma di sviluppo rurale 2014-20 sono stati approvati due avvisi (decreti n. 1775 e 1776/2015) relativi alla raccolta delle domande di aiuto sulle misure:

11 - agricoltura biologica

13 - indennità compensativa

ATTENZIONE: le aziende hanno solo pochi giorni a disposizione per presentare le domande; il termine scade infatti il 15 maggio!

Per poter consultare i bandi potete cliccare qui

Per consulenza non esitate a contattarci!

 

agricoltura-raccolta-fotogrammaSvegliarsi e vendemmiare a Mornington Peninsula, la penisola australiana che si affaccia a sud di Melbourne. Anzi, no: produrre Pinot nero nell'Oregon, censire le risorse forestali della California, testare uno stile di vita biologico in abitazioni green nel cuore dello stato di Washington... Non sono fantasie ma i tirocini formativi organizzati dall'Associazione nazionale giovani agricoltori (Anga), la costola giovanile di Confagricoltura. Esperienze cucite su misura, coperte e retribuite secondo un principio chiaro fin dalla selezione: non si parte per scappare, si parte con un progetto. «L'obiettivo del viaggio non è promuovere la fuga dei cervelli, ma la formazione imprenditoriale. Ricordiamo sempre che è uno stage formativo, non un'esperienza di lavoro mascherata», sottolinea Piergiovanni Ferrarese, componente del comitato di presidenza Anga e di Alberto Magnani - Il Sole 24 Ore - leggi

downloadGli aiuti comunitari 2015-2020 sono percepiti dai soggetti che rivestono la qualifica di “agricoltore attivo”. Questo requisito della nuova Pac è una novità che persegue lo scopo di selezionare i beneficiari dei pagamenti diretti, escludendo gli agricoltori “non attivi”: un requisito molto complesso, disciplinato da numerose normative comunitarie e nazionali (tab. 1). In ultimo, il 20 marzo 2015, Agea ha emanato una Circolare che chiarisce i requisiti, le procedure e la documentazione necessaria per dimostrare la qualifica di “agricoltore attivo”. Con questa Circolare, la normativa sull’agricoltore attivo è definitivamente chiarita e consente di procedere alla presentazione della domanda di assegnazione dei nuovi titoli 2015-2020 e alla domanda di pagamento 2015, entrambe con scadenza fissata al 15 giugno 2015.

Quando si applica

L’esistenza del requisito di “agricoltore attivo” costituisce una condizione necessaria ed imprescindibile per l’ottenimento dei contributi dell’Unione europea (tab. 2). Questo requisito si applica sia ai regimi di sostegno del Reg. 1307/2013 (pagamenti diretti) sia ad una serie di misure previste Reg. 1305/2013 (sviluppo rurale). Ad esempio, anche i contributi alle assicurazioni agevolate, l’agricoltura biologica e le indennità compensative per le zone svantaggiate sono soggetti al possesso del requisito dell’agricoltore attivo. La normativa è molto complessa. I “veri” agricoltori non hanno difficoltà a dimostrare il requisito di “agricoltore attivo”. Invece, ci sono casi molto complessi soprattutto per i soggetti che non hanno partita Iva in campo agricolo (part-time, pensionati) ed importanti casi di esclusione (enti pubblici, società immobiliari).

Gli agricoltori “non attivi”

Gli agricoltori non attivi appartengono a quattro categorie (tab. 3). Attività agricola minima Il Reg. 1307/2013 prevede che non vengano concessi pagamenti diretti a persone fisiche o giuridiche le cui superfici agricole siano mantenute naturalmente in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione e su cui non siano svolte le attività agricole minime fissate dallo Stato membro. Lista nera fissata dall’Ue Il Reg. 1307/2013 (art. 9, par. 2) prevede l’esclusione dai pagamenti diretti dei soggetti che appartengono alla cosiddetta lista nera (black list): aeroporti, servizi ferroviari, impianti idrici, servizi immobiliari, terreni sportivi e aree ricreative permanenti.Lista nera fissata dall’Italia L’Italia ha operato un ampliamento della lista nera a quattro categorie di soggetti: –   banche e finanziarie; –   soggetti che svolgono attività di intermediazione commerciale (es. società immobiliari); –   assicurazioni; –   Pubblica amministrazione, fatta eccezione per gli enti che effettuano formazione e sperimentazione in campo agricolo e degli enti che gestiscono usi civici. Sono fatti salvi dall’esclusione gli enti che effettuano formazione e sperimentazione in campo agricolo, quindi le aziende agricole delle Università, degli Istituti tecnici agrari e dei centri di ricerca, e gli enti che gestiscono usi civici. Lo svolgimento delle attività di formazione e/o sperimentazione in campo agricolo o la gestione degli usi civici è provata da Agea mediante l’acquisizione di informazioni presso le Amministrazioni competenti o vigilanti ovvero attraverso la verifica di idonea documentazione probatoria. Agricoltori senza requisiti Altri agricoltori non attivi sono i soggetti che non possiedono i requisiti minimi: coloro le cui attività agricole costituiscono solo una parte insignificante delle loro attività economiche complessive o la cui attività principale o il cui oggetto sociale non è l’esercizio di un’attività agricola. Questi soggetti sono quelli che non hanno i requisiti dell’agricoltore attivo, riportato nel prossimo paragrafo.

I requisiti dell’agricoltore attivo

L’individuazione dell’agricoltore attivo è verificata se il soggetto possiede almeno uno dei seguenti tre requisiti (tab. 4):

  1. agricoltore sotto un certa soglia di pagamenti diretti;
  2. iscrizione all’Inps;
  3. titolari di partita Iva.

Agricoltore sotto un certa soglia Gli agricoltori sono attivi se nell’anno precedente hanno percepito pagamenti diretti di ammontare inferiore a: –   5.000 euro per le aziende prevalentemente ubicate in montagna e/o zone svantaggiate; –   1.250 euro nelle altre zone. In Italia la maggior parte dei beneficiari della Pac sono al di sotto di tale soglia; infatti, i percettori di aiuti inferiori a 5.000 euro rappresentano nel nostro Paese l’87% della platea dei beneficiari, anche se la loro quota sull’ammontare dei pagamenti erogati è stata solo del 26%. Di conseguenza, la maggior parte dei beneficiari attuali della Pac è “agricoltore attivo” per il fatto di essere sotto una certa soglia di pagamenti diretti; infatti, tutti i piccoli agricoltori sarebbero considerati attivi, indipendentemente dal loro status (part-time, pensionati, assenteisti ecc.). Iscrizione all’Inps L’iscrizione all’Inps deve riguardare il richiedente dei pagamenti diretti in qualità di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale (Iap) o colono o mezzadro. Non vale iscrizione all’Inps di un dipendente. Titolari di partita Iva La partita Iva deve essere attivata in campo agricolo prima del 1° agosto 2014 e, a partire dal 2016, l’agricoltore deve presentare anche la dichiarazione annuale Iva. Per le aziende con superfici prevalentemente ubicate in montagna e/o zone svantaggiate non è necessaria la dichiarazione annuale Iva. Per partita Iva attiva in campo agricolo si intende quella individuata dal codice ATECO 01 agricoltura. In altre parole, il certificato di attribuzione della partita Iva deve riportare il codice ATECO 01. Le aziende, in cui è sufficiente il possesso della partita Iva in campo agricolo (senza dichiarazione dell’Iva nel 2016), sono quelle con superfici agricole ubicate, in misura maggiore al 50%, in zone montane e/o svantaggiate ai sensi del Reg. 1257/1999, ossia la classificazione di zone montane e/o svantaggiate, utilizzate ai fini del Psr.

Deroghe per gli agricoltori non attivi

Una persona fisica o giuridica che rientra nella lista nera o che non possiede i requisiti di agricoltore attivo è tuttavia considerata “agricoltore attivo” se fornisce prove verificabili che dimostrino una delle seguenti situazioni:

  1. l’importo annuo dei pagamenti diretti è almeno pari al 5% dei proventi totali ottenuti da attività non agricole nell’anno fiscale più recente per cui tali prove siano disponibili;
  2. le sue attività agricole non sono insignificanti;
  3. la sua attività principale o il suo oggetto sociale è l’esercizio di un’attività agricola.

Dunque, una società immobiliare che dimostri di svolgere prevalentemente attività agricola sarà considerata “agricoltore attivo”. Analogamente un agricoltore che ha aperto la partiva Iva agricola dopo il 1° agosto 2014 o che non possiede l’indicazione del Codice ATECO 01.

Prima deroga

Ai fini della verifica dell’importo annuo dei pagamenti diretti pari ad almeno il 5% dei proventi totali ottenuti da attività non agricole si precisa quanto segue. L’importo dei pagamenti diretti corrisponde all’importo totale dei pagamenti diretti a cui l’agricoltore aveva diritto a norma del Reg. 73/2009 per il 2014, senza tener conto delle riduzioni ed esclusioni ai fini della condizionalità o dei recuperi. Dal 2016, si considera l’importo dei pagamenti diretti ai sensi del Reg. 1307/2013. Se un agricoltore non ha presentato domanda di aiuto per i pagamenti diretti nel 2014, l’importo è calcolato con la media nazionale dei pagamenti diretti (vedi box). La verifica dei proventi derivanti dallo svolgimento di attività non agricole è eseguita sulla base dei dati reddituali dichiarati dagli agricoltori e coerenti con quelli dichiarati ai fini fiscali. In altre parole, Agea prenderà in considerazione la denuncia dei redditi del richiedente.

Seconda deroga

Le attività agricole non sono considerate insignificanti qualora ricorra una delle seguenti ipotesi:

  1. i proventi totali ottenuti da attività agricole nel 2014 rappresentano almeno un terzo dei proventi totaliottenuti nel 2014;
  2. l’importo annuo dei pagamenti diretti è almeno pari al 5% dei proventi totali ottenuti da attività non agricole nel 2014;
  3. se l’attività principale o l’oggetto sociale di una persona giuridica è registrata come attività agricola nell’oggetto sociale nel registro delle imprese o, nel caso di una persona fisica, esista una prova equivalente.

Il controllo dei requisiti a) e b) viene effettuato dall’Organismo pagatore sulla base dei dati reddituali dichiarati dagli agricoltori e coerenti con quelli dichiarati ai fini fiscali.

Terza deroga

L’attività principale o l’oggetto sociale è registrata come attività agricola nell’oggetto sociale del registro delle imprese se, nel caso di persona giuridica, “la ragione sociale o la denominazione sociale delle società contiene l’indicazione di società agricola”. Il requisito è sempre rispettato sia per le persone fisiche sia per le persone giuridiche in caso di iscrizione all’Inps come coltivatori diretti, imprenditori agricoli professionali, coloni o mezzadri, o di possesso della partita Iva attiva in campo agricolo ATECO agricoltura 01 o di iscrizione in pubblici registri dai quali si evinca che l’attività agricola è l’attività principale.

L’accertamento dei requisiti

L’art. 1, comma 4, del Decreto ministeriale n. 1420 del 26 febbraio 2015 dispone che la verifica e la validazione del requisito di agricoltore attivo è affidata ad Agea. La Circolare Agea n. 140 del 20 marzo 2015 prevede che la verifica della qualifica di “agricoltore attivo” è eseguita, ove possibile, in via informatica sulla base dei dati informatizzati disponibili, utilizzando a tal fine sia i dati presenti nel SIAN sia quelli di competenza di altre pubbliche amministrazioni (Inps, Agenzia delle Entrate, Sistema delle Camere di Commercio o altre) e resi disponibili attraverso specifici interscambi informatici. Nei soli casi residuali per i quali l’agricoltore non risulti “agricoltore attivo” a seguito della verifica informatica svolta da Agea ed intenda provare detta qualifica, deve presentare all’Organismo pagatore competente un’idonea documentazione attestante l’esistenza dei requisiti richiesti dalla vigente normativa. In caso di esito positivo dell’istruttoria, l’Organismo pagatore comunica ad Agea, l’esistenza della qualifica di “agricoltore attivo” in capo all’interessato unitamente all’indicazione della specifica fattispecie in base alla quale è stata riconosciuta. La qualifica di agricoltore attivo deve essere posseduta al momento della presentazione della domanda e mantenuta per tutto il periodo di programmazione nel caso di impegni pluriennali. La mancanza della qualifica di “agricoltore attivo” al momento della presentazione di una domanda non è sanata dall’eventuale positivo accertamento eseguito successivamente ai fini della presentazione di una domanda relativa ad altro regime di aiuto. Per “momento di presentazione della domanda” si intende quello in cui l’agricoltore esegue tale adempimento e non la data ultima di presentazione della domanda. In caso di decesso dell’agricoltore o cessazione dell’attività agricola successiva alla presentazione della domanda di aiuto, ricorrendo i presupposti previsti per ciascun regime di aiuto, il pagamento è eseguito in favore dell’avente causa anche qualora lo stesso non sia in possesso della qualifica di agricoltore in attività.

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American Country FarmDall’8 al 12% in meno di aiuti sin dal primo anno di applicazione della nuova Pac. È l’impatto dell’applicazione della riforma comunitaria su due aziende della Pianura Padana. La prima a seminativi, la seconda a indirizzo zootecnico per la produzione di bovini da carne, accumunate dalla medesima superficie aziendale, circa 45 ettari. Azienda a seminativi – Da un lato, un’azienda di 45 ettari a seminativo, che produce 20 ha di mais da granella , ha13 ha di grano tenero ha e 12 ha di soia ha. Quindi una produzione diversificata, anche in funzione di un’organizzazione manageriale che faceva affidamento sull’applicazione delle misure agroambientali del programma di sviluppo rurale, nella fattispecie la misura 214. Ebbene, nel 2014 l’imprenditore agricolo ha percepito dalla sola Pac aiuti per 16.900 €, pari a circa 376 €/ha. Da quest’anno, l’azienda con il medesimo ordinamento colturale potrà contare su circa 9.295 € di aiuti base, più il greening, che contribuirà per altri 5.112 € (circa il 55% del premio base), più l’aiuto accoppiato sulla soia che, secondo il decreto ministeriale di attuazione della nuova Pac, premierà quasi 6 ha di leguminosa, per un contributo stimato di 543 € (97 €/ha). Il tutto assommerà a 14.950 € che, rispetto al 2014, comporterà una perdita di quasi il 12% (-1.950 €), senza contar i mancati premi derivanti dal Psr, per la mancata attivazione dello stesso a livello regionale nel corso del 2015 ( circa 7.600 €). Riguardo il greening, l’azienda in questione è già conforme, in quanto diversifica con tre colture diverse e alle aree a focus ecologico (Efa) con la semina della soia su 11 ha, coltura che corrisponde pienamente alla richiesta minima di 3,25 ha di azotofissatrice, nonostante il fattore di conversione negativo fissato dalla normativa europea a 0,7. Azienda zootecnica da carne – Nel caso dell’azienda zootecnica da carne, già dal primo anno si registrerà un sensibile calo di premi disaccoppiati. Gli aiuti passeranno da 85.180 € (1.851 €/ha) a circa 46.849 €, ma verranno in aiuto sia il greening (altri 25.767 €) sia i premi accoppiati previsti per i bovini macellati in età compresa fra 12 e 24 mesi e dopo una permanenza minima di 6 mesi in allevamento. Requisiti, questi, rispettati dall’attività dell’azienda, che macella circa 600 capi l’anno di bovini delle razze Charolaise e Limousine. Con il nuovo sistema di aiuti accoppiati previsto dal Mipaaf, il premio per capo dovrebbe attestarsi sui 46 €, contro i 41 € del sistema precedente. In altre parole, potrebbero arrivare altri 27.600 € per l’aiuto accoppiato. In aggiunta, considerando che l’azienda al momento non è conforme per il greening, disponendo solo di due colture (mais da insilato per 37 ha e orzo per 9 ha) anziché le tre obbligatorie per l’avvicendamento, e non disponendo di superfici Efa, dovrà forzatamente introdurre un terza coltura come la soia che, essendo anche azotofissatrice, con 4 ha potrà rispondere all’anello mancante del greening e far percepire l’aiuto accoppiato, per ulteriori 388 €. A conti fatti, dalla nuova impostazione Pac deriverà qualcosa come 100.604 €, contro i 109.780 euro della versione precedente, con un calo di soli, si fa per dire, 9.176 € (poco più dell’8% in meno). Tutto bene quindi per le aziende zootecniche da carne? Non proprio, considerando che 4 ha in meno di mais, per far posto alla soia come Efa, fanno circa 200 t in meno di insilato che dovranno essere acquistati sul mercato per non meno di 8.000 €. Due pesi, due misure – In ultima analisi, stessa Pac ma due pesi e due misure per seminativi e zootecnia. Diverso il calo dei premi, anche se, con la convergenza parziale, entro il 2019 sarà la realtà zootecnica a perdere più aiuti comunitari, diversi gli impegni del greening. Una cosa però accomuna le sorti delle due imprese. Sarà necessario applicare più norme e richiedere più linee di premio per percepire meno soldi.

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grano-pasta-600x400-600x400Nasce a Ferrara uno dei primi progetti di filiera integrata realmente a “Km 0”. Dalle idee imprenditoriali diOttavio di Canossa e dall’impegno di Confagricoltura Bologna, il progetto ha come scopo finale la produzione di pasta secca di semolato, all’interno dell’azienda agricola Cuniola, da oltre un secolo di proprietà dell’antica famiglia di Canossa. Linee di alta qualità – Nella Tenuta Cuniola di San Martino (Fe), oltre 500 ha, 100 sono coltivati a grano duro. Da diversi anni Ottavio di Canossa, che gestisce l’azienda di famiglia, studia varie soluzioni per sviluppare linee di prodotti di alta qualità, utilizzando le produzioni agricole aziendali. Così è nato il progetto di produrre una pasta che si discostasse dai prodotti oggi in commercio per andare oltre il semplice concetto di “base neutra” per l’accompagnamento di sughi e condimenti: «Una pasta che sapesse di pasta» spiega di Canossa. Il primo passo è stato quello di far eseguire a un molino varie prove di macinazione, diverse da quella tradizionale riservata all’ottenimento di quest’alimento. Dopo varie esperienze, la scelta ricade sul semolato, una lavorazione semi-integrale del grano duro, in cui il processo di macinatura è meno aggressivo, restituendo, rispetto alla tradizionale semola, una maggiore quantità di fibre, intorno al 4%, arricchendola di profumi e sapori, ma allo stesso tempo rendendola più delicata della tradizionale semola integrale, in cui le fibre si attestano intorno al 13-14%. Trasformazione in azienda – Fino a questo momento la pasta, trasformata da un pastificio artigianale di Ferrara, era destinata a qualche piccola realtà gastronomica della zona, ma l’alta qualità del prodotto e il crescente favore riscontrato dai consumatori, spingono l’azienda a strutturarsi per trasformare il prodotto direttamente in azienda. Così nel 2014 viene installato un impianto per produrre pasta secca, in modo da chiudere la filiera con un unico passaggio esterno, la molitura. Sperimentare sempre – Il pastificio, sviluppato in collaborazione con la ditta Storci spa di Parma, oltre a produrre la Pasta di Canossa, è impegnato nella ricerca di nuove soluzioni tecnologiche per soddisfare la continua ricerca di qualità, come laboratorio della stessa Storci, ospitando inoltre un centro di formazione per pastai. La pasta è interamente trafilata al bronzo, in diversi formati della tradizione italiana. Ciò consente di avere caratteristiche di ruvidezza ideali, esaltando e rendendo omogeneo il sapore. Inoltre, molta cura è dedicata all’essiccazione, rigorosamente a bassa temperatura, con ricette che variano dalle 14 alle 34 ore, in funzione dei formati, per lasciare inalterate le caratteristiche organolettiche del semolato ed esaltare le peculiari caratteristiche del prodotto finito. La chiusura del ciclo di produzione, partendo dalla materia prima per arrivare al prodotto destinato al consumatore finale, amplifica il valore aggiunto dalla ricerca e dall’innovazione, con un vantaggio economico se paragonato alla semplice produzione e vendita di cereali. Solo grano aziendale – Una delle caratteristiche peculiari della “Pasta di Canossa” è la tracciabilità: su ogni confezione si trovanotutte le date importanti della vita del grano, dalla semina, alle varie fasi fenologiche, fino alla macinazione e trasformazione in pasta. Ciò è reso possibile dall’utilizzo esclusivo del grano prodotto dall’azienda agricola, di cui viene seguito scrupolosamente tutto il ciclo. Di Canossa lo definisce “Cycle-life” della pasta ed è la vera garanzia per il cliente di consumare un prodotto a Km 0 di cui ogni “passaggio” è noto: «Il percorso che il grano ha compiuto prima di diventare pasta». Il continuo processo di ricerca della qualità e della trasparenza prosegue, oltre che nella sperimentazione di nuovi prodotti, anche nell’intento di fornire maggiori garanzie al consumatore, assicurati da due percorsi attivati dall’azienda: la certificazione per la sicurezza agroalimentare FSSC 22000 e la rintracciabilità nella filiera ISO 22005.

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japonica6-kefB-U43070822414442kKC-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443Piccolo, ma pericolosissimo per l’ambiente. E anche per il portafoglio. La Popillia japonica, scarabeo asiatico in grado di attaccare fino a trecento specie vegetali, è ormai arrivato anche in Italia. Dall’estate scorsa si susseguono gli avvistamenti nel Parco del Ticino e in altre zone tra Lombardia e Piemonte, segnalazioni che hanno spinto gli enti regionali a intervenire.

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Gravi danni

L’insetto è giunto in Europa continentale da poco tempo, prima era stato individuato solo nelle Azzorre, ma già preoccupa in quanto è in grado di causare ingenti danni. Negli Stati Uniti, dove è comparso per la prima volta all’inizio del Novecento, «venivano stimati già nel 2004 costi di circa 450 milioni di dollari per la lotta all’insetto e per i danni arrecati», spiega un documento della Regione Piemonte pubblicato a fine febbraio. «Per i gravi danni che può arrecare è inserito tra gli organismi di quarantena (direttiva 2000/29 CE e lista A2 dell’Eppo-European and Mediterranean Plat Protection Organization) di cui deve essere vietata l’ulteriore introduzione e diffusione in altre aree europee», scrive Davide Michelatti, dirigente del settore fitosanitario della Regione Piemonte. «Gli adulti, che volano da giugno a settembre, sono polifagi e negli Stati Uniti si alimentano su oltre 300 specie vegetali tra cui sono comprese piante spontanee, ornamentali, colture di pieno campo, da frutto e forestali. Tra le specie d’interesse agrario si possono ricordare: mais, melo, pesco, soia, vite e molte altre».

Contrasto alla diffusione

Per questo gli interventi sono stati immediati e condivisi con altri enti: «Il settore fitosanitario del Piemonte, in collaborazione con l’Ente Parco del Ticino, ha subito attivato i primi interventi di monitoraggio sulla diffusione dell’insetto e di contrasto allo sviluppo della sua popolazione mediante raccolta manuale degli adulti sulla vegetazione e sistemazione di una sessantina di trappole per la cattura massale. Complessivamente sono stati raccolti circa 27.500 esemplari». Da questi dati è partita la decisione di compiere un ulteriore passo avanti: individuare le aree del focolaio e quelle tampone. In tutto sono coinvolti i territori, interi o per alcune parti, dei Comuni di Pombia, Marano Ticino, Oleggio, Bellinzago Novarese, Cameri e Galliate, Romentino, Mezzomerico, Divignano, Varallo Pombia e Novara. E questo solo per cercare di limitare subito l’espansione del piccolo ospite in grado di oltrepassare qualunque controllo doganale.

Difficile l’eradicazione

Anche in America, nonostante i massicci investimenti, non è riuscita l’eradicazione dello scarabeo. E, come avverte l’agronomo dell’Università di Catania Santi Longo sul periodico dell’Accademia dei Georgofili, il pericolo è duplice perché l’insetto attacca le piante da sopra e da sotto: «Gli adulti, lunghi in media 1 centimetro, dal torace verde brillante e dalle ali color rame o bronzo, con caratteristici ciuffi di peli bianchi ai margini dell’addome, si alimentano di foglie, fiori e frutti, mentre le larve terricole rodono le radici di piante erbacee spontanee e coltivate». Non a caso è stata anche descritta come «la larva che può mangiare un prato da sotto».

Non solo Xylella

Un ulteriore allarme come ormai sta diventando normale per il mondo agricolo e non solo:le specie pericolose importate dagli altri continenti sono ormai centinaia. E ci sono anche i batteri, come la Xylella che sta uccidendo olivi e agrumi nel Sud Italia e che pare, a quanto riportato dal presidente della Coldiretti lombarda Ettore Prandini, sia arrivata anche in Brianza infestando piante di caffè ornamentali.

Lotta totale

Gli scarabei come la Popillia japonica si vedono e si riescono almeno a limitare, anche se una soluzione definitiva non c’è. Nelle normative europee l’impiego di insetticidi è visto come una soluzione temporanea: meglio introdurre un predatore naturale della specie aliena infestante. Ma si utilizzano anche altri strumenti: per contrastare una vespa particolarmente dannosa per le api, più aggressiva del calabrone verso l’uomo, in Lombardia si sta studiando anche l’utilizzo di piccoli radar per trovare e distruggere i nidi. Segno che ormai la lotta all’invasione è a tutto campo.

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2088-pagE’ stato presentato il nuovo registro telematico, obbligatorio dal primo luglio 2015 ma già utilizzabile in via facoltativa. Le informazioni dettagliate sui soggetti interessati alla tenuta del registro, su dove va compilato e con quale frequenza, su come cambia il registro ordinario di carico e scarico, ma anche su come iniziare a lavorare e altro ancora.

E’ ufficiale. I funzionari Agea e Sian hanno presentato il nuovo registro telematico, il quale sarà di fatto obbligatorio a partire dal prossimo primo luglio 2015.

Tale registro in realtà è già utilizzabile in via facoltativa dal primo marzo, e la nuova "Guida alla predisposizione dei file di upload per l’aggiornamento del Registro di carico/scarico” è disponibile sul portale Sian, oppure è direttamente scaricabile QUI

Ulteriori informazioni, relative al Registro, le potete ricavare scaricando il documentoQUI

Chi invece è interessato a prendere visione dei dati aggiornati del Portale Sian al 28 febbraio 2015 può scaricare il documento QUI

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OLYMPUS DIGITAL CAMERANormalmente l’acqua si distribuisce al suolo tramite un sistema di irrigazione caratterizzato da prestazioni di tipo qualitativo, tra cui l’uniformità di distribuzione, e quantitativo, come l’intensità di pioggia.

Le piante estraggono l’acqua dal suolo sotto l’azione degli elementi climatici, con intensità variabili che dipendono dallo stato della pianta e dalle condizioni ambientali. È quindi evidente che si tratta di una pratica agronomica complessa, che si confronta con un sistema dinamico i cui elementi interagiscono e cambiano più o meno rapidamente nel tempo.

Per una serie di ragioni, in gran parte di tipo culturale, l’uso dell’acqua nella maggior parte delle aree irrigue del Paese è scarsamente efficiente in ciò che la moderna terminologia, adottata a livello internazionale, ha classificato come “usi benefici”. La crescente scarsità idrica e le misure contenute nei Psr e nelle direttive comunitarie, impongono al settore dell’irrigazione un passo in avanti deciso in tema di tutela dell’ambiente e di uso delle risorse impiegate. In questo senso, un aiuto fondamentale può venire dagli strumenti che la tecnologia mette a disposizione a supporto delle recenti acquisizioni nel campo della fisiologia, dell’agrometeorologia, della pedologia e dell’impiantistica, a costi finalmente accessibili.

Le moderne attrezzature a supporto dell’irrigazione sono quindi facilmente disponibili per un’utenza molto ampia, in termini di capacità individuali e dimensioni aziendali e questa è probabilmente la novità più rilevante per sapere quando, quanto e dove irrigare.

L’incognita suolo

Il suolo rappresenta l’incognita maggiore nella normale pratica irrigua, principalmente per la variabilità spaziale delle sue caratteristiche idrologiche legata, tra l’altro, alla variabilità tessiturale. Il problema cresce con la dimensione dell’area stessa, all’interno della quale gli apporti idrici andrebbero differenziati in ragione del numero di macro aree omogenee.

L’utilità di disporre di mappe dei suoli è evidente, sia per l’ottimizzazione di una gestione tradizionale, sia per la creazione di mappe di prescrizione da usare nell’irrigazione di precisione.

La procedura con campionamento manuale è lunga e costosa e può essere superata da indagini più rapide ed economiche condotte con strumenti che sfruttano la caratteristica di un suolo a farsi attraversare da un impulso elettromagnetico. Questi strumenti, portati da un mezzo meccanico generalmente localizzato tramite gps, ad esempio un quad o un trattore, sull’area di indagine georeferenziata, acquisiscono i valori di resistività (come nel sistema arp) o di conducibilità (come nel sistema EM 38) nelle tre dimensioni dell’area. I valori sono in relazione con le caratteristiche dei suoli (ad esempio il contenuto in argilla) e ciò consente l’individuazione di macro aree su cui concentrare il campionamento per la caratterizzazione quantitativa. In figura 1 è riportata una mappa ottenuta con il sistema Arp, infigura 2 con il sistema Em 38.

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Monitoraggio dell’umidità

L’umidità del suolo, nelle aree considerate omogenee, può essere monitorata attraverso sensori affidabili e a basso costo. Tra i sistemi più semplici, ve ne sono di adatti al monitoraggio dell’umidità nello strato superficiale del terreno e quindi nel caso di colture con apparati radicali poco profondi (figura 3).

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Per incrementare il numero di acquisizioni e ridurre i costi, sono disponibili data logger che, oltre all’umidità del suolo a differenti profondità, raccolgono informazioni sui parametri climatici utilizzabili nel calcolo dell’evapotraspirazione colturale (figura 4). I dati acquisiti possono essere scaricati dall’utente oppure, come optional, inviati tramite modem. Al crescere dell’ampiezza o della variabilità dell’area può venire meno la convenienza nell’utilizzo dei sistemi più semplici, per cui può essere opportuno orientarsi verso altri più complessi, ampiamente disponibili sul mercato.

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Il monitoraggio dell’umidità del suolo e dei parametri climatici permette di definire, per ogni coltura, un bi ancio idrologico e quindi le quantità nette di acqua da distribuire.

Intervenire correttamente

Per condurre l’irrigazione in modo corretto è quindi importante conoscere bene le caratteristiche del sistema che si utilizza per la distribuzione. Nei moderni sistemi a pioggia meccanizzati, è sufficiente impostare la centralina di controllo della macchina sul valore target, lungo tutto il percorso o su parti dello stesso (figura 5).

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Nei sistemi fissi, ai fini dell’efficienza è particolarmente importante sia la fase di progettazione per garantire una buona uniformità di distribuzione, sia l’esecuzione degli interventi in termini di orario di adacquamento. Per i sistemi a goccia, tra i software di supporto alla progettazione oggi disponibili si segnala il Ve.Pro.L.G./s, un applicativo adatto anche alla verifica di funzionamento di impianti esistenti e scaricabile gratuitamente dal sito della Regione Toscana (figura 6).

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La verifica di un impianto a goccia consiste nel determinarne la portata media, l’uniformità di erogazione, lo spreco di acqua e il consumo di energia, mentre la progettazione permette di individuare il modello di linea gocciolante da utilizzare, la pressione da applicare in testa alle linee e la lunghezza delle stesse. Tra le peculiarità di questo software vi è il fatto che le linee gocciolanti presenti nel data base sono state caratterizzate con prove di laboratorio e quindi l’output si riferisce alle prestazioni reali e non a quelle da catalogo. È inoltre possibile aggiungere nuove linee gocciolanti, sia come modello sia come anno di produzione di modelli già presenti.

L’efficienza d’uso dell’acqua può migliorare notevolmente passando dai sistemi gravitazionali a quelli in pressione. Per ottenerne i vantaggi con il minimo costo energetico, vengono proposti sistemi che possono funzionare a bassissima pressione, grazie anche ai diametri utilizzati per le linee gocciolanti (figura 7).

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Il funzionamento dei sistemi a goccia è strettamente legato alla qualità dell’acqua erogata, ovvero al funzionamento dei filtri. Per la distribuzione localizzata di liquidi difficili come i liquami, una alternativa interessante è rappresentata da barre attrezzate con calate che si avvicinano alla superficie del terreno. Per colture alte, sono disponibili carrelli porta ala a 4 ruote ad altezza variabile (figura 8).

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