Anche la nostra pasta potrebbe subire gli effetti dei cambiamenti climatici. Nell’arco dei prossimi quaranta anni il piatto simbolo del made in Italy sarà chiamato necessariamente ad evolversi, ad adattarsi alle mutate condizioni atmosferiche e in particolare all’aumento della concentrazione dell’anidride carbonica nell’aria. Pena perdita di qualità.
«Possiamo dire, semplificando, che i cambiamenti climatici sono promossi da un aumento della concentrazione della CO2 nell’atmosfera, che a sua volta determina il cosiddetto effetto serra con conseguente innalzamento della temperatura media, scioglimento dei ghiacci, maggiori rischi di eventi estremi (sia siccitosi, sia piovosi). Esistono scenari climatici differenti per i prossimi decenni, ma di sicuro sappiamo che la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è destinata ad aumentare: fino alla metà del secolo scorso si aggirava intorno alle 320 ppm (parti per milione), oggi siamo a 400 e nel 2050 dovremmo superare le 500». Ad affermarlo è Luigi Cattivelli, ricercatore del Centro di ricerca per la genomica del Cra e coordinatore di un progetto sperimentale volto a comprendere le implicazioni dei cambiamenti climatici sulla produzione e la qualità del frumento duro. «È chiaro che l’agricoltura è fortemente influenzata dal clima. Si ipotizza che nei prossimi anni alcune colture “mediterranee” come la vite o l’olivo verranno coltivate nel centro nord Europa. L’Italia, e in particolare il Mezzogiorno, potrebbe dover fronteggiare un aumento dei rischi di siccità e di eventi meteo particolarmente intensi, la diffusione di nuove specie o razze di patogeni, ma di sicuro non cambieremo le nostre produzioni tipiche».
Se rinunciare non è contemplato, adattarsi è d’obbligo. E qui entra in gioco il progetto DuCO (Durum wheat adaptation to global change) coordinato da Cattivelli e realizzato nell’ambito di Ager in collaborazione tra Cra, Cnr ed Enea. In che modo potrebbe mutare la coltivazione, la resa e la qualità del frumento in uno scenario di aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’aria? «In pratica abbiamo voluto attualizzare una condizione futura».
Per farlo i ricercatori hanno coltivato, presso un campo sperimentale a Fiorenzuola D’Arda e per due intere stagioni (2011-2013), 12 diverse varietà di frumento duro (molte in commercio) cresciute sia in condizioni “normali”, sia con una concentrazione di CO2 nell’aria pari a circa 570 ppm (valore atteso per il 2050). «L’aspetto importante è che, grazie all’utilizzazione del sistema Face (Free air CO2 enrichment - Arricchimento dell’aria aperta con CO2) abbiamo potuto testare la risposta delle piante in pieno campo, senza alcuna barriera fisica».
Due i macro-risultati della sperimentazione: aumento generalizzato della produzione e parallela diminuzione del contenuto proteico.
Questo perché l’anidride carbonica rappresenta un “fertilizzante” naturale per le piante, che crescono di più, ma subiscono un calo nel valore proteico, un parametro qualitativo fondamentale per il frumento duro e quindi per la nostra pasta.
«Interessante è che abbiamo registrato una grande variabilità di risposta: da un aumento della resa del 3-4% a un incremento superiore al 20% per alcune varietà. Stesso discorso, per il contenuto proteico: la diminuzione oscilla tra quasi 0 e il 10%». La sperimentazione ci offre insomma uno strumento per scegliere le caratteristiche che dovranno avere le piante adatte alla coltivazione nel futuro. «Abbiamo 40 anni di tempo per predisporre le varietà più indicate» e abbiamo gli strumenti per non farci trovare impreparati di fronte a uno scenario diverso, ma non ingestibile. Il prossimo passo, finanziamenti permettendo, sarà testare le risposte del frumento a un altro fattore collegato ai cambiamenti climatici: la disponibilità idrica.