L’Imu sui terreni agricoli è stata definita in tempi record per far fronte alle spese previste dal decreto Irpef, tra l’altro il bonus degli 80 €. Pagata il 10 febbraio, calcolata e versata in base alla classificazione sintetica dell’Istat: comuni montani, parzialmente montani e non montani.
L’esenzione Imu vale per i terreni agricoli e quelli non coltivati che si trovano in Comuni classificati come totalmente montani; esenzioni parziali per i terreni agricoli e non coltivati posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, situati in Comuni definiti parzialmente montani. Per calcolare l’Imu sui terreni agricoli, valgono le stesse modalità di calcolo Imu degli altri immobili, partendo dalla base imponibile che si ottiene dal reddito domenicale, riportato sull’atto di proprietà o sulla visura catastale, rivalutato del 25% moltiplicato per 135, che è il coefficiente dei terreni per i Comuni in cui si paga l’Imu, o 75, coefficiente valido per i soli coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali. Alla base imponibile ottenuta si applica l’aliquota fissa al 7,6 per mille.
A giudicare dai criteri di esenzione, sembra tutto ok per il settore agricolo, che pare averla scampata per l’ennesima volta, perché l’agricoltura agli occhi di molti “processatori da bar” è quella che prende e non dà, è quella che usufruisce dei contributi europei e beneficia sempre delle esenzioni.
Mai come ora, l’agricoltura è stata dipinta come “l’isola felice”, perché “è l’unico settore trainante della nostra economia” (?), perché “se vogliamo ripartire, bisogna ripartire dall’agricoltura”.
Bene. Troppo bene. In realtà, carte alla mano, le cose non stanno proprio così. Se l’agricoltura riesce a cavicchiarsela (in alcuni casi), è perché la crisi la conosce da tempi remoti, perché le prime crisi di mercato risalgono ai primi anni novanta e continuano tuttora, intervallate da alcune false speranze, che altro non erano che boccate d’ossigeno per evitare l’asfissia.
Eppure, nonostante il mercato dei cereali sia ai minimi storici, nonostante interi raccolti di frutta distrutti perché il prezzo di mercato non copriva neppure le spese di raccolta, nonostante la profonda crisi del settore latte, nonostante il rating bassissimo delle banche, nonostante i costi di produzione alle stelle, nonostante le 140mila aziende chiuse nel 2013, c’è ancora chi ostenta la ricchezza di questo settore.
Detto ciò, torniamo all’Imu.
Appena uscita la notizia dell’esenzione per coltivatori diretti e Iap, è iniziata la corsa frenetica delle associazioni di categoria per issare le bandiere sul risultato raggiunto.
Succede però, che nei 655 comuni parzialmente esenti, beneficino dell’esenzione soltanto i coltivatori diretti proprietari e regolarmente iscritti nella previdenza agricola.
Succede però che esistono numerosissimi casi in cui, Coltivatori diretti o Iap, raggiunta l’età pensionabile, non essendo più iscritti al regime previdenziale, abbiano ceduto in affitto (magari ad un figlio, subentrato alla conduzione dell’azienda, vista come unico sbocco a fronte della crisi occupazionale) i loro beni produttivi.
Succede però che questi ex coltivatori, si ritrovino a pagare fino a 100 €/ha in media, dopo una vita di sacrifici e di rinunce per acquistare qualche centinaia di metri quadrati di terreno in più per la loro attività. Succede, di fatto, che un ex coltivatore diretto, proprietario di 10 ha di terreno, che percepisce una pensione di 500 € mensili, si trovi a pagare 1.000 €/anno di Imu, per andare a finanziare un bonus di 80 € mensili (spot elettorale) sulla busta paga di chi, percepisce una mensilità pari a 3 volte la sua.
Ma si sa, la terra è capitale, e il capitale, non può rimanere in mano a contadini.
Fonte: http://www.agricoltura24.com/imu-agricola-cronache-da-un-isola-infelice/0,1254,54_ART_9068,00.html