"La civiltà di un popolo si giudica (anche) da come si prende cura dei suoi alberi". E' con queste parole che si conclude l'intervento del "Gruppo Verde", composto da docenti e ricercatori del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell'Università di Pisa. Al centro dell'attenzione dunque il patrimonio naturale urbano, una risorsa per il benessere dei cittadini che però va gestito e manutenuto affinché non si trasformi in un pericolo, come successo, ad esempio, durante l'episodio di eccezionale maltempo avvenuto all'inizio di marzo. Ecco quindi una riflessione che vuole coinvolgere scienziati, ma anche amministratori e opinione pubblica. Perché l'idea, apparentemente semplice, ma in realtà complessa - come sostiene il "Gruppo Verde" - è quella di fare "più attenzione per i nostri alberi, piuttosto che doversi ritrovare improvvisamente a fare attenzione agli alberi (che cadono!)".
La recentissima ondata di maltempo e, in particolare,la disastrosa 'bufera' della notte di giovedì 5 marzo impongono alcune riflessioni in merito alla considerazione che la nostra collettività (sia il fronte pubblico che quello privato) riserva al patrimonio arboreo urbano ed extraurbano. Soprattutto si fa riferimento agli alberi presenti in parchi, giardini e viali.
Sono ormai di dominio pubblico e ampiamente descritti dai mass media gli effetti devastanti dell'episodio, che ha provocato in Toscana la caduta di migliaia (forse decine di migliaia) di alberi (in particolare pini, ma non solo: sono crollati o si sono spezzati cipressi, lecci, mimose, olivi, palme, ecc.), ha sconvolto il paesaggio urbano di numerosissime località (si pensi a Forte dei Marmi, al Parco della Versiliana e alle Cascine, al viale di Bolgheri), inflitto danni enormi, oltre che all'agricoltura e all'industria, anche a centinaia di edifici pubblici e privati e ad altri beni (es. veicoli), comportato disagi infiniti ai cittadini e alle famiglie (ritardi nei trasporti, chiusura delle scuole, interruzioni dei servizi, ecc.) e causato rischi incredibili per l'incolumità delle persone. Il bilancio in termini di perdita di vite umane o di lesioni è stato incredibilmente modesto, ma soltanto perché l'episodio è avvenuto nel cuore della notte. Per anni saranno evidenti le conseguenze, anche in virtù del fatto che stanno per innescarsi cruenti dispute legali per il risarcimento dei danni patiti dai singoli, molte delle quali vedranno coinvolte le compagnie di assicurazione così come altrettante non vedranno mai una conclusione certa alla luce della 'eccezionalità' e della 'imprevedibilità' dell'evento atmosferico.
Una prima domanda sorge spontanea: l'evento era veramente inimmaginabile? Sarebbe stato possibile limitarne gli effetti? La risposta è tutt'altro che semplice e richiede approcci multidisciplinari. Ci limitiamo in questa sede a ritenere effettivamente anomalo, o quanto meno inusuale, l'episodio (velocità del vento da nord-est), stanti le prime segnalazioni che fanno riferimento a raffiche di gran lunga superiori a 100-130 (150?) chilometri orari: indubbiamente una situazione fuori norma, della quale non si ha memoria, ma saranno i fisici dell'atmosfera a esprimere le loro valutazioni. Un vento particolarmente violento, dunque, ma è sufficiente questo a giustificare la strage di alberi che si è verificata? Sì, perché è proprio al crollo delle piante arboree che va ascritta la quasi totalità dei danni lamentati. Entrano in gioco, allora, altri fattori, quali, ad esempio, la scarsa tenuta degli apparati radicali, a seguito delle abbondanti piogge che negli ultimi mesi hanno interessato la nostra regione. Ma siamo sicuri che, anche in questo caso, non vi sia un contributo rilevante da parte dell'incuria e della carenza di attenzioni da parte dell'uomo nei confronti delle piante in fase sia di progettazione degli arredi verdi urbani sia di allevamento e gestione degli spazi a verde?
Occorre precisare che, verosimilmente, una frazione significativa degli alberi crollati si presentava in apparenti buone condizioni di salute e di manutenzione, per cui si potrebbe ipotizzare che soltanto l'eccezionalità del fenomeno abbia innescato le disastrose conseguenze di cui stiamo parlando. In realtà nella maggior parte dei casi di crollo di alberi 'in perfetta forma' è possibile evidenziare come le condizioni di accrescimento degli apparati radicali fossero fortemente compromesse dalla presenza di compattamento del suolo, di asfaltature soffocanti, dall'insufficiente volume di suolo per lo sviluppo delle radici (marciapiedi, cordoli, manufatti edili, ecc.) o dalla eccessiva vicinanza tra le piante stesse che hanno determinato la crescita di 'giganti dai piedi d'argilla' crollati (appunto) al primo soffio di vento un po' più forte.
In tantissimi altri casi, però, a fare le spese dell'evento eccezionale sono stati alberi già compromessi da situazioni sanitarie precarie e su cui i gestori del verde urbano e delle alberate stradali non hanno più trovato il tempo e le risorse per la loro cura. A questo proposito, è indispensabile riflettere sul fatto che non da ora, e per vari motivi (per lo più di natura economica), il patrimonio arboreo risulta trascurato, venendo meno le indispensabili operazioni colturali, a cominciare dalle potature e dai diradamenti delle alberate o degli aggregati arborei troppo fitti. Ma, più in generale, le Amministrazioni pubbliche tendono a considerare le piante solo come una (importante) voce di costo, senza riuscire a valutarne adeguatamente i (molteplici) benefici per il cittadino. Così, risulta difficile (magari con la 'complicità' involontaria del cosiddetto 'patto di stabilità') reperire risorse per programmare censimenti del verde, attività di monitoraggio delle condizioni di salute delle piante, interventi di manutenzione ordinaria e razionale, corsi di formazione e aggiornamento degli operatori. Si finisce con il limitarsi ad operazioni di pura emergenza, magari per rimuovere tronchi o branche crollati al suolo; spesso, addirittura, anche questi interventi vengono rimandati nel tempo fino a quando, fatalmente, non si verifica un evento eccezionale come quello del 5 marzo. Emblematica è la situazione del Viale D'Annunzio, a Pisa, della Via del Brennero, tra Pisa e San Giuliano, e dell'Aurelia a Madonna dell'Acqua, dove centinaia di platani secolari sono stati decimati dal 'cancro colorato' (malattia crittogamica che ha come principale, quasi esclusivo, vettore la motosega infetta che trasmette l'inoculo da un individuo infetto ad uno sano) e dove gli alberi morti sono stati lasciati per anni in sede, fino ad essere aggrediti da altri microrganismi e insetti e diventare fattore di grave rischio per l'incolumità del cittadino. Ci sono voluti interventi di somma urgenza (si era sfiorata la disgrazia) dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile per abbattere le piante morte (e pensare che questa operazione è obbligatoria per legge!).
Oggi il mondo della ricerca ha sviluppato tecniche di indagine ('diagnostica per immagini') ripetibili e riproducibili, capaci di valutare le condizioni interne del tronco e fornire indicazioni allo specialista se l'albero "abbia le carte in regola" per stare in piedi. Protocolli validati a livello internazionale consentono di formulare giudizi in forma strutturata e di mettere in evidenza gli interventi prioritari. Anche il settore della didattica universitaria ha raccolto queste opportunità e da tempo l'Università di Pisa eroga corsi finalizzati alla formazione di figure professionali competenti nel campo della progettazione e gestione del verde urbano e del paesaggio, esattamente quelle che possono indirizzare le Amministrazioni pubbliche e i privati nella scelta delle specie vegetali più idonee e dei piani di intervento razionali. E, sia chiaro, le piante non sono eterne e arriva anche il momento di abbatterle, a 'fine carriera'. In ambito urbano, fortemente antropizzato e fonte di incredibili stress per gli alberi che vi crescono, la vita media di un individuo arboreo risulterà sempre ridotta rispetto a quella di alberi cresciuti nel loro contesto biologico naturale: l'importante è che si prenda coscienza di queste limitazioni alla durata della vita di un albero in città e che ciò avvenga nell'ambito di programmi integrati di turn over periodico delle alberature e di riqualificazione ambientale. E' ciò che sta per avvenire a Castiglioncello, dove i ricercatori del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell'Università di Pisa stanno coadiuvando i tecnici comunali in un complesso piano di interventi, sviluppato con il coinvolgimento diretto dei cittadini, e finalizzato a rimuovere i non pochi elementi di rischio presenti nella vetusta Pineta Marradi. Un intervento analogo è stato recentemente portato a termine nel Parco della Pace a Pontasserchio.
La civiltà di un popolo si giudica (anche) da come si prende cura dei suoi alberi e i nostri decisori pubblici dovrebbero dedicare maggiore attenzione a questi argomenti: ne va di mezzo anche la qualità della vita dei cittadini (e pure la loro incolumità!). In sintesi si potrebbe dire semplicemente che per una serena convivenza tra alberi e cittadini occorre avere 'più attenzione per i nostri alberi', piuttosto che doversi ritrovare improvvisamente a 'fare attenzione agli alberi (che cadono!)'.
"Gruppo Verde" del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell'Università di Pisa