Dall’8 al 12% in meno di aiuti sin dal primo anno di applicazione della nuova Pac. È l’impatto dell’applicazione della riforma comunitaria su due aziende della Pianura Padana. La prima a seminativi, la seconda a indirizzo zootecnico per la produzione di bovini da carne, accumunate dalla medesima superficie aziendale, circa 45 ettari. Azienda a seminativi – Da un lato, un’azienda di 45 ettari a seminativo, che produce 20 ha di mais da granella , ha13 ha di grano tenero ha e 12 ha di soia ha. Quindi una produzione diversificata, anche in funzione di un’organizzazione manageriale che faceva affidamento sull’applicazione delle misure agroambientali del programma di sviluppo rurale, nella fattispecie la misura 214. Ebbene, nel 2014 l’imprenditore agricolo ha percepito dalla sola Pac aiuti per 16.900 €, pari a circa 376 €/ha. Da quest’anno, l’azienda con il medesimo ordinamento colturale potrà contare su circa 9.295 € di aiuti base, più il greening, che contribuirà per altri 5.112 € (circa il 55% del premio base), più l’aiuto accoppiato sulla soia che, secondo il decreto ministeriale di attuazione della nuova Pac, premierà quasi 6 ha di leguminosa, per un contributo stimato di 543 € (97 €/ha). Il tutto assommerà a 14.950 € che, rispetto al 2014, comporterà una perdita di quasi il 12% (-1.950 €), senza contar i mancati premi derivanti dal Psr, per la mancata attivazione dello stesso a livello regionale nel corso del 2015 ( circa 7.600 €). Riguardo il greening, l’azienda in questione è già conforme, in quanto diversifica con tre colture diverse e alle aree a focus ecologico (Efa) con la semina della soia su 11 ha, coltura che corrisponde pienamente alla richiesta minima di 3,25 ha di azotofissatrice, nonostante il fattore di conversione negativo fissato dalla normativa europea a 0,7. Azienda zootecnica da carne – Nel caso dell’azienda zootecnica da carne, già dal primo anno si registrerà un sensibile calo di premi disaccoppiati. Gli aiuti passeranno da 85.180 € (1.851 €/ha) a circa 46.849 €, ma verranno in aiuto sia il greening (altri 25.767 €) sia i premi accoppiati previsti per i bovini macellati in età compresa fra 12 e 24 mesi e dopo una permanenza minima di 6 mesi in allevamento. Requisiti, questi, rispettati dall’attività dell’azienda, che macella circa 600 capi l’anno di bovini delle razze Charolaise e Limousine. Con il nuovo sistema di aiuti accoppiati previsto dal Mipaaf, il premio per capo dovrebbe attestarsi sui 46 €, contro i 41 € del sistema precedente. In altre parole, potrebbero arrivare altri 27.600 € per l’aiuto accoppiato. In aggiunta, considerando che l’azienda al momento non è conforme per il greening, disponendo solo di due colture (mais da insilato per 37 ha e orzo per 9 ha) anziché le tre obbligatorie per l’avvicendamento, e non disponendo di superfici Efa, dovrà forzatamente introdurre un terza coltura come la soia che, essendo anche azotofissatrice, con 4 ha potrà rispondere all’anello mancante del greening e far percepire l’aiuto accoppiato, per ulteriori 388 €. A conti fatti, dalla nuova impostazione Pac deriverà qualcosa come 100.604 €, contro i 109.780 euro della versione precedente, con un calo di soli, si fa per dire, 9.176 € (poco più dell’8% in meno). Tutto bene quindi per le aziende zootecniche da carne? Non proprio, considerando che 4 ha in meno di mais, per far posto alla soia come Efa, fanno circa 200 t in meno di insilato che dovranno essere acquistati sul mercato per non meno di 8.000 €. Due pesi, due misure – In ultima analisi, stessa Pac ma due pesi e due misure per seminativi e zootecnia. Diverso il calo dei premi, anche se, con la convergenza parziale, entro il 2019 sarà la realtà zootecnica a perdere più aiuti comunitari, diversi gli impegni del greening. Una cosa però accomuna le sorti delle due imprese. Sarà necessario applicare più norme e richiedere più linee di premio per percepire meno soldi.
Archivi tag: greening
DOMANDA UNICA PAC 2015: ISTRUZIONI
Come ben noto dalla campagna 2015 entra in vigore la riforma della PAC. Agea ( organismo pagatore) ha emanato una circolare contenente le istruzioni per la compilazione e la presentazione della domanda unica di pagamento nella campagna 2015.
- l’idea di selezionare la platea dei beneficiari dei pagamenti diretti, escludendo da essa gli agricoltori non attivi” , in modo da evitare che il sostegno della PAC vada a chi non svolge effettivamente un’attività agricola;
- il mantenimento del disaccoppiamento dalla quantità prodotta come criterio-guida del sostegno della PAC (pagamento di base);
- la scomposizione del pagamento unico aziendale in più componenti, in modo da assicurare a tutti un pagamento di base a fronte di una condizionalità di base, ma aggiungendo ad esso una serie di altri pagamenti disegnati in modo selettivo rispetto ai diversi obiettivi da perseguire e ai beneficiari da raggiungere: greening, giovani produttori, piccoli agricoltori, comparti strategici da sostenere con aiuti accoppiati;
- il superamento dei pagamenti basati sul criterio storico e della loro differenziazione eccessiva e non più giustificabile, secondo un percorso di uniformazione graduale e ragionevolmente gestito dagli Stati membri. L’applicazione di un meccanismo di parziale e graduale avvicinamento del livello medio dei pagamenti diretti nei diversi Stati membri (la “convergenza”) per ridurre le notevoli differenze oggi esistenti e difficilmente giustificabili sul piano politico;
- la riproposizione del cosiddetto capping, ovvero di un sistema di tetti progressivi ai pagamenti più elevati, allo scopo di correggere una distribuzione del sostegno a volte troppo sperequata tra i beneficiari.
Per consultare direttamente la circolare AGEA Prot. N. 476/UM.2015 del 23 marzo 2015 clicca qui
Dalla nuova Pac un sostegno per rilanciare le proteine vegetali
Le proteine vegetali sono al centro dell’attenzione della politica agraria comunitaria e nazionale.
Due eventi politici confermano questa affermazione:
- la nuova Pac 2014-2020 ha inserito una dotazione specifica nel sostegno accoppiato;
- il ministro Maurizio Martina le ha inserite nelle proprie linee programmatiche.
Ampie ragioni giustificano l’attenzione alla produzione di proteine vegetali, soprattutto nel nostro Paese, che vive di un cronico deficit di approvvigionamento.
Le colture
Le colture destinate alle proteine vegetali sono: piante proteiche (pisello proteico, fave e favette, lupino dolce), proteoleaginose (girasole, soia, colza) e foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, ecc.).
Tali colture consentono al produttore agricolo di migliorare l’ordinamento produttivo, stimolando la rotazione tra colture depauperanti e colture da rinnovo, interrompendo la monosuccessione di cereali. Inoltre contribuiscono a favorire la rotazione, con molteplici benefici ambientali:
- migliorano la struttura e la fertilità del terreno;
- riducono l’impiego di fertilizzanti di sintesi e di agrofarmaci;
- evitano i gravi rischi di abbandono e/o di depauperamento dei terreni a causa della monocoltura di cereali.
Tali vantaggi hanno spinto l’Unione europea a promuovere un “piano proteine vegetali” che, tuttavia, è stato lasciato alla volontà degli Stati membri e solo in pochi hanno colto questa opportunità.
Nell’attuale articolo 68, la Francia ha destinato 40 milioni di euro annui per sostenere la produzione di proteine vegetali. Nessun segnale dall’Italia!
Il nuovo sostegno accoppiato
L’opportunità più concreta per stimolare la produzione di proteine vegetali deriva dalla nuova Pac 2014-2020.
Gli Stati membri possono destinare una percentuale del massimale nazionale per concedere aiuti accoppiati per una larga gamma di prodotti: cereali, semi oleosi, colture proteiche, legumi da granella, lino, canapa, riso, frutta a guscio, patate da fecola, latte e prodotti lattiero-caseari, sementi, carni ovine e caprine, carni bovine, olio d’oliva, bachi da seta, foraggi essiccati, luppolo, barbabietola da zucchero, canna da zucchero e cicoria, prodotti ortofrutticoli, bosco ceduo a rotazione rapida.
L’obiettivo di questa tipologia di pagamenti diretti è di concedere un sostegno accoppiato a quei settori o a quelle regioni in cui esistono determinati tipi di agricoltura o determinati settori agricoli che:
- si trovano in difficoltà;
-rivestono una particolare importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali.
Il finanziamento del pagamento accoppiato deriva da una percentuale fino al 13% del massimale nazionale. Inoltre gli Stati membri hanno la possibilità di aumentare il finanziamento del pagamento accoppiato del 2%, arrivando quindi fino al 15%, per sostenere la produzione di colture proteiche.
L’importo massimo a disposizione dell’Italia per le proteine vegetali è di 79 milioni di euro (2% del massimale dei pagamenti diretti nel 2015) destinato a scendere fino a 74 milioni di euro (2% del massimale dei pagamenti diretti nel 2019).
Le scelte nazionali
Le decisioni degli Stati membri sul sostegno accoppiato dovranno essere notificate alla Commissione entro il 1° agosto 2014.
L’Italia dovrebbe cogliere questa opportunità per stimolare la produzione di proteo-leaginose (soia, girasole e colza), di leguminose proteiche (favino, pisello proteico, ecc.) e di foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, ecc.) e di foraggi essiccati.
Nel periodo 2010-2014, l’Italia non ha colto questa possibilità, ma stavolta è proprio la volta buona.
Il ministro Maurizio Martina nelle linee programmatiche, presentate alla Camera e al Senato, ha affermato l’importanza di realizzare un piano proteine vegetali su vasta scala, al quale sarebbero associati una serie di importanti obiettivi:
1) ridurre la dipendenza dall’estero in termini di approvvigionamento di proteine vegetali: oggi si importa il 90% circa delle farine di soia e di girasole, che rappresentano la principale base proteica dell’industria mangimistica italiana;
2) ridurre l’inquinamento da nitrati, nelle regioni del bacino idrografico del fiume Po, grazie alla reintroduzione delle rotazioni colturali tra cereali e colture “azotofissatrici”;
3) offrire una valida alternativa produttiva da avvicendare ai cereali.
Queste affermazioni fanno presagire la scelta italiana di inserire le proteine vegetali nei settori del sostegno accoppiato, seppure non ci sono ancora ipotesi sullo stanziamento e sugli importi ad ettaro.
Il greening e il PSR
Nella Pac 2014-2020, oltre al sostegno accoppiato, sono previsti diversi altri strumenti per lo sviluppo di colture proteiche: facilitazioni nel pagamento ecologico (greening), misure agro-climatico-ambientali dei nuovi PSR, PEI (Programma Europeo per l’Innovazione).
Il Parlamento europeo ha chiesto espressamente “un piano strategico di approvvigionamento di proteine vegetali che consenta all’Unione di ridurre la sua forte dipendenza dall’estero”.
Nell’applicazione del green-ing, le superfici occupate da colture che fissano l’azoto (colture azotofissatrici), assolvono l’impegno di aeree ecologiche. In altre parole, una superficie a erba medica, a soia o favino consente di ottemperare al 5% delle superfici ad aree ecologiche, previste dai vincoli del greening.
I nuovi PSR
Nei nuovi PSR è prevista una misura, i pagamenti agro-aclimatico-ambientali, che si sposa perfettamente con i vantaggi delle colture proteiche.
A tal fine si può prevedere una rotazione obbligatoria con almeno una coltura proteica, nonché un maggiore sostegno alle zone di pascolo permanente, comprese le miscele specifiche di foraggi verdi e leguminose.
Un’altra possibilità è la concessione di sussidi per gli agricoltori che producono colture proteiche con sistemi di rotazione che contribuiscono a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e il deficit di colture proteiche nell’UE e a rafforzare la lotta contro le malattie e la fertilità dei suoli.
L’innovazione con il PEI
Il Parlamento europeo ha invitato a sostenere la ricerca in materia di riproduzione e fornitura di sementi per le colture proteiche nell’Ue, a migliorare i servizi di divulgazione e, nell’ambito dello sviluppo rurale, i servizi di formazione per gli agricoltori sull’uso della rotazione.
A riguardo, l’iniziativa europea per l’innovazione in agricoltura (PEI) della Commissione europea dovrebbe istituire ungruppo di lavoro sullo sviluppo di colture proteiche, prendendo in considerazione anche la questione della biodiversità delle piante.
L’Italia e le proteine vegetali
L’eccezionale impennata dei prezzi della soia e delle farine proteiche nel 2012 ha messo in evidenza il grave rischio di una tale dipendenza estera di proteine vegetali. Basti pensare all’aumento del prezzo della soia che in Italia è passata da 200 euro/ton del 2005 agli 550 euro/ton nel 2013; oggi si attesta sui 470 euro/ton (fig. 1).
Il deficit europeo ed italiano di proteine vegetali è rilevante. Nell’Ue, la produzione totale di colture proteiche occupa attualmente solo il 3% dei terreni coltivabili e fornisce solo il 30% delle colture proteiche utilizzate come alimenti per animali nell’UE, con una tendenza, negli ultimi dieci anni, all’aumento di tale deficit.
L’obiettivo non è di produrre nell’Unione europea la totalità del fabbisogno, ma migliorare l’approvvigionamento interno a vantaggio degli utilizzatori, soprattutto gli allevatori.
Aree di interesse ecologico: aspetti applicativi e casi pratici
Le aree di interesse ecologico sono uno dei tre impegni del greening (tab. 1), che è entrato in vigore con la nuova Pac, dal 1° gennaio 2015. Molto spesso le aree di interesse ecologico sono anche indicate come ecological focus area (EFA), secondo la terminologia inglese.
L'applicazione delle EFA è molto complessa e suscita molte domande, per i suoi vari aspetti applicativi nei tanti casi pratici che in questi mesi devono affrontare gli agricoltori italiani. L'obiettivo di ogni imprenditore agricolo è quello di rispettare le EFA, ai fine di percepire il pagamento greening, senza diminuire la produzione e senza aumentare i costi.
Quando si applicano le EFA?
Il terzo impegno del greening obbliga gli agricoltori a destinare una quota del 5% dei seminativi dell'azienda ad aree di interesse ecologico (EFA).
Il 5% di EFA si applica solo alle superfici a seminativo; non si applica alle colture permanenti e ai prati e pascoli permanenti (tab. 1). Le aziende di dimensione inferiore ai 15 ettari a seminativo sono esonerate dall'obbligo delle aree di interesse ecologico (tab. 2).
La percentuale del 5% di EFA può essere aumentata al 7% a partire dal 2018, a seguito di una relazione della Commissione, che dovrà essere presentata entro il 31 marzo 2017, e di un atto legislativo del Parlamento europeo e del Consiglio.
Il greening è stato fortemente criticato dal nuovo Parlamento europeo, dal nuovo Commissario all'Agricoltura Phil Hogan e dalla maggior parte degli Stati membri, per cui l'ipotesi di aumentare le EFA al 7% nel 2018 appare poco probabile.
Quando non si applicano le EFA?
L'impegno di destinare il 5% dei seminativi ad EFA non si applica nelle aziende:
• con superfici a seminativo inferiori a 15 ettari;
• i cui seminativi sono utilizzati per più del 75% per la produzione di erba o altre piante erbacee da foraggio, per terreni lasciati a riposo, investiti a colture leguminose o sottoposti a una combinazione di tali tipi di impieghi, a condizione che i seminativi non sottoposti a tali impieghi non siano superiore a 30 ettari (tab. 3);
• la cui superficie agricola ammissibile è costituita per più del 75% da prato permanente, utilizzata per la produzione di erba o altre piante erbacee da foraggio o investita a colture sommerse (es. riso) o sottoposta a una combinazione di tali tipi di impieghi, a condizione che i seminativi non sottoposti a tali impieghi non siano superiore a 30 ettari (tab. 4).
Tipologie di aree ecologiche
Gli Stati membri decidono cosa può essere considerato come area di interesse ecologico, tenuto conto di un elenco previsto dal Reg. 1307/2013 (art. 46, par. 2):
a) terreni lasciati a riposo;
b) terrazze;
c) elementi caratteristici del paesaggio, compresi gli elementi adiacenti ai seminativi dell'azienda, tra cui possono rientrare elementi caratteristici del paesaggio che non sono inclusi nella superficie ammissibile;
d) fasce tampone, comprese le fasce tampone occupate da prati permanenti, a condizione che queste siano distinte dalla superficie agricola ammissibile adiacente;
e) ettari agro-forestali che ricevono, o che hanno ricevuto, un sostegno dai PSR;
f) fasce di ettari ammissibili lungo le zone periferiche delle foreste;
g) superfici con bosco ceduo a rotazione rapida, senza impiego di concime minerale e/o prodotti fitosanitari;
h) superfici oggetto di imboschimento, ai sensi dei PSR;
i) superfici con colture intercalari o manto vegetale ottenuto mediante l'impianto o la germinazione di sementi.
j) superfici con colture azotofissatrici.
Il significato tecnico e la descrizione delle suddette tipologie di aree di interesse ecologico è riportata nella tabella 5.
Il decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 ha stabilito che sono considerate come EFA tutte quelle elencate dal art. 46, par. 2 del Reg. 1307/2013 (tab. 5), ad eccezione delle superfici con colture intercalari. Lo stesso decreto ministeriale stabilisce le colture azotofissatrici, utilizzabili come aree di interesse ecologico (tab. 6). Su tali colture azotofissatrici sono posti due vincoli:
• rispetto dei vincoli della direttiva 91/676/ CEE (Direttiva Nitrati);
• distanza di almeno dieci metri dal ciglio di sponda dei corpi idrici individuati dalle Regioni e Province autonome ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e ad almeno cinque metri dal ciglio di sponda dei restanti corsi d'acqua, avuto riguardo agli obiettivi di cui alla direttiva 2000/60/CE.
Sulle colture azotofissatrici non ci sono vincoli realtivi all'uso dei diserbanti e/ concimazioni.
Le aree di interesse ecologico (EFA) devono essere situate (tab. 7):
• sui seminativi dell'azienda;
• anche adiacenti ai seminativi dell'azienda, nel caso in cui gli elementi caratteristici del paesaggio e le fasce tampone;
• al di fuori dei seminativi, se trattasi delle superfici con bosco ceduo a rotazione rapida e delle superfici oggetto di imboschimento.
I terreni a riposo, le terrazze, gli ettari agroforestali, fasce lungo le zone periferiche delle foreste e le colture azotofissatrici devono essere sui seminativi dell'azienda.
Il bosco ceduo a rotazione rapida e le superfici oggetto di imboschimento, visto che queste superfici sono classificate come “colture permanenti”, possono essere situate anche al di fuori dei seminativi dell'azienda.
Gli elementi caratteristici del paesaggio e le fasce tampone possono essere situate anche adiacenti ai seminativi dell'azienda (fig. 1), ma non fuori dall'adiacenza dei seminativi (fig. 2 e 3).
Il calcolo del 5%
Il calcolo delle EFA deve tener conto dei seminativi e di alcuni elementi caratteristici delle EFA (art. 46, par. 1, Reg. 1307/2013).
Più precisamente, quando vengono considerati alcuni elementi caratteristici, il calcolo delle EFA è pari a:
EFA = 5% * (S + c + d + g + h)
S = seminativi;
c = superfici occupate da terrazze;
d = superfici occupate da elementi caratteristici del paesaggio;
g = superfici con bosco ceduo a rapida rotazione;
h = superfici oggetto di imboschimento con PSR.
Pertanto il calcolo delle EFA è pari:
• al 5% dei seminativi, se l'azienda dichiara solo i seminativi come EFA;
• al 5% dei seminativi più alcuni elementi caratteristici delle EFA.
Ad esempio, un'azienda con 100 ettari di seminativi e 10 ettari di bosco ceduo a rapida rotazione (dichiarati come EFA), deve calcolare il 5% di EFA su 110 ettari, pari quindi 5,5 ettari di EFA.
Altro esempio: un'azienda con 50 ettari di seminativi e 3 ettari di siepi e fasce tampone (dichiarati come EFA), deve calcolare il 5% di EFA su 53 ettari, pari quindi 2,65 ettari di EFA.
Fattori di conversione e ponderazione
I tipi di aree di interesse ecologico, elencate nella tabella 5, sono molto diversi tra di loro,sia per unità di misura (ad esempio le siepi di misurano in metri lineari) sia per valore ecologico (ad esempio il valore ecologico di un ettaro di terreno lasciato a riposo è superiore a quello di ettaro una coltura azotofissatrice).
Per semplificare l'amministrazione e tener conto delle caratteristiche dei tipi di aree di interesse ecologico, nonché per facilitarne la misurazione, gli Stati membri si avvalgono, quando calcolano gli ettari totali rappresentati dall'area di interesse ecologico dell'azienda, dei fattori di conversione e/o di ponderazione che figurano nell'allegato X del Reg. 1307/2013. L'Italia ha adottato gli stessi fattori di conversione e/o di ponderazione del regolamento comunitario (tab. 8).
Un fattore di conversione è finalizzato a trasformare la misurazione delle EFA in ettari.
Un fattore di ponderazione è finalizzato a trasformare il valore ecologico delle EFA.
Ad esempio, il fattore di conversione delle siepi (m/m²) è pari a 5 e il fattore di conversione è 2, quindi 1.000 metri lineari di siepe corrisponde a 10.000 m² di EFA.
Altro esempio: il fattore di conversione dei fossati (m/m²) è pari a 3 e il fattore di conversione è 2, quindi 2.000 metri lineari di fossato corrisponde a 12.000 m² di EFA.
Altro esempio: il fattore di ponderazione delle colture azotofissatrici è pari a 0,7; quindi 10 ettari di soia o favino o erba medica corrispondono a 7 ettari di EFA.
Gli agricoltori devono rilevare le aree di interesse ecologico presenti nella propria azienda (siepi, stagni, fissati, fasce tampone, ettari agroforestali, superfici oggetto di imboschimento, colture azotofissatrici, terreni lasciati a riposo, ecc.) per poi trasformarli in EFA, utilizzando i fattori di conversione e/o di ponderazione.
Se tali elementi non sono sufficienti, dovrà introdurre qualche nuova area ecologica (ad esempio una coltura azotofissatrice o terreni lasciati a riposo) per soddisfare il 5% di EFA.
Facciamo un esempio. Un agricoltore deve avere la presenza di 5 ettari di EFA. In primo luogo, l'agricoltore rileva le EFA strutturali presenti nella propria azienda: siepi, bordi di campi, alberi isolati, fossati e bosco ceduo (tab. 9). Tali elementi, considerando i relativi fattori di conversione e di ponderazione, sviluppano 29.300 m2 di EFA (2,93 ettari), che non sono sufficienti per soddisfare il 5% di EFA (5 ettari).
Per raggiungere questo obiettivo, l'agricoltore introduce 3 ettari di favino, che sviluppano 2,1 ettari di EFA, in modo da raggiungere i 5 ettari di EFA (tab. 9).
Le pratiche equivalenti
Per evitare di penalizzare quanti già adottano sistemi di sostenibilità ambientale, il Reg. 1307/3013 (art. 43, par. 3) prevede un sistema di equivalenza d'inverdimento in base al quale si considera che le prassi favorevoli all'ambiente già in vigore sostituiscano gli obblighi del greening.
Le pratiche equivalenti sono elencate nell'allegato IX del Reg. 1307/2013 e sono contemplate da:
• i regimi agroambientali dei PSR (Reg. 1698/2005 o Reg. Ce 1305/013) che adottano misure equivalenti;
• i sistemi di certificazione ambientale nazionali o regionali.
Il decreto ministeriale, in corso di emanazione, ha previsto che nel 2015 gli agricoltori non possono avvalersi delle pratiche equivalenti, ai fini del rispetto del greening. Questa scelta è dovuta al fatto che le pratiche equivalenti dovevano essere individuate dallo Stato membro per ogni PSR, ma i PSR 2014-2020 devono essere ancora approvati. Quindi l'individuazione delle pratiche equivalenti sarebbe dovuta avvenire all'interno dei PSR 2007-2013. Questa individuazione avrebbe avuto la validità per il solo anno 2015, mentre dal 2016 l'individuazione delle pratiche equivalenti sarebbe dovuta avvenire con i nuovi PSR 2014-2020. Per questa ragione, il decreto ministeriale ha evitato l'utilizzo della pratiche equivalenti per il 2015, rimandando questa decisione al 2016.
Gli effetti delle aree ecologiche
L'impegno delle aree di interesse ecologico provoca maggiori impatti per le aziende intensive, con più di 15 ettari a seminativo. Le aziende di collina o di montagna non avranno grandi difficoltà ad destinare il 5% dei seminativi ad aree di interesse ecologico, in quanto possono facilmente trovare delle superfici marginali che possono efficacemente essere destinate a terreni a riposo o dove sono presenti elementi caratteristici del paesaggio.
Invece, l'obbligo delle EFA è molto impattante per le aziende agricole ad agricoltura specializzata sia al Nord (es. maiscoltura della pianura padana) che al Centro-sud Italia (es. granidurocoltura del Tavoliere delle Puglie). Un'azienda interamente a seminativi dovrà sottrarre almeno il 5% della superficie per aree di interesse ecologico. In tali casi, l'agricoltore che non ha la convenienza ad introdurre il set aside ecologico (terreni lasciati a riposo), potrà valutare l'introduzione di una coltura azotofissatrice, come la soia che, oltretutto, beneficia del pagamento accoppiato. Oppure potrà scegliere di rinunciare al pagamento greening; alcuni maiscoltori della pianura padana hanno già valutato di rinunciare al pagamento greening pur di proseguire la monocoltura di mais.
La maggior parte degli agricoltori sta trovando soluzioni efficienti al vincolo delle EFA con le colture azoto-fissatrici, ad esempio la soia al Nord e le leguminose al centro-sud.
Come mantenere prati e pascoli permanenti
Il mantenimento dei prati e pascoli permanenti è uno dei tre impegni del greening (tab. 1), che l’agricoltore deve rispettare dal 1° gennaio 2015. Dei tre impegni è quello meno stringente, ciononostante gli agricoltori devono prestare molta attenzione agli aspetti applicativi.
I vincoli, da rispettare, sono due:
1. nelle zone ecologicamente sensibili, gli agricoltori non possono convertire o arare i prati e pascoli permanenti;
2. nelle altre zone, gli agricoltori possono convertire i prati e pascoli permanenti, solo dopo l’autorizzazione di Agea.
Vediamo nel dettaglio.
Prati e pascoli in zone sensibili
Gli Stati membri designano i prati e pascoli permanenti ecologicamente sensibili sotto il profilo ambientale nelle zone sensibili della rete “Natura 2000”, contemplate nelle direttive 92/43/Cee (direttiva “Habitat”) o 2009/147/Ce (direttiva “Uccelli”), incluse le torbiere e le zone umide ivi situate, e che richiedono una protezione rigorosa per conseguire gli obiettivi di dette direttive. Inoltre, gli Stati membri possono designare i prati e pascoli permanenti ecologicamente sensibili anche al di fuori di tali zone. In Italia, il decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 attribuisce questa possibilità alle Regioni.
Gli agricoltori non possono convertire o arare i prati e pascoli permanenti nelle zone ecologicamente sensibili.
Diminuzione massima del 5%
Gli Stati membri devono assicurare che il rapporto tra “prati e pascoli permanenti” e la “superficie agricola totale” non diminuisca in misura superiore al 5%. Quindi gli Stati membri assicurano il mantenimento di una certa proporzione delle superfici a prato e pascolo permanente.
La quota, da tenere sotto controllo, si ottiene dal rapporto tra:
• superficie investita a prato e pascolo permanente;
• superficie agricola totale dichiarata.
La verifica della diminuzione richiede un confronto tra la quota ex-ante e la quota di ogni anno dal 2015 al 2020.
La quota ex-ante (A), chiamata “quota di riferimento”, costituita da:
• superficie investita a prato e pascolo permanente nel 2012, più la superficie investita a prato e pascolo permanente nel 2015 che non è stata dichiarata nel 2012;
• superficie agricola totale dichiarata nel 2015.
La quota di ogni anno (B) si calcola dal seguente rapporto:
• superficie investita a prato e pascolo permanente di ogni anno;
• superficie agricola totale dichiarata ogni anno.
La variazione di B rispetto A non deve diminuire in misura superiore al 5%.
Obbligo a livello nazionale
Il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 prevede che l’obbligo di rispetto della quota “prati e pascoli permanenti” si applichi a livello nazionale; quindi il singolo agricoltore non deve avere preoccupazioni per questo impegno.
Tuttavia, qualora uno Stato membro accerti che il rapporto è diminuito di oltre il 5%, deve prevedere obblighi per i singoli agricoltori di convertire terreni a prato permanente. Il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014, per cautela, ha fissato questa percentuale al 3,5%.
La diminuzione dei prati e pascoli permanenti è spesso imputabile a un aumento degli imboschimenti; in tale caso non viene considerata come una diminuzione dei prati e pascoli permanenti, in quanto l’imboschimento è compatibile con l’ambiente.
Al fine di verificare il controllo sulle superfici a prati e pascoli permanenti, in Italia il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 impone che gli agricoltori possano convertire i prati e pascoli permanenti, solo dopo l’autorizzazione di Agea. L’autorizzazione di Agea è rilasciata entro 30 giorni.
La richiesta di autorizzazione non prevede un diniego da parte di Agea, ma solo la necessità di controllare l’evoluzione della superficie a prati e pascoli permanenti, al fine di dimostrare alla Commissione europea il rispetto della quota.
Quindi gli agricoltori interessati a convertire un “prato e pascolo permanente” in seminativi o colture arboree possono ottenere l’autorizzazione automaticamente.
Nessuna preoccupazione, solo un po’ di attenzione
L’impegno del mantenimento dei prati e pascoli permanenti è stato creato per salvaguardare i prati e pascoli permanenti considerati estremamente sensibili da un punto di vista ambientale.
Il mantenimento dei prati e pascoli permanenti era già presente nella vecchia Pac con una norma della condizionalità e, in sostanza, la situazione non cambia molto dal precedente obbligo di condizionalità.
In Italia, il rischio di diminuzione del 3,5% della quota è praticamente inesistente, in quanto l’interesse a convertire ad arare i prati e i pascoli permanenti è molto limitato.
In sintesi, gli agricoltori devono solo fare un po’ di attenzione e precisamente:
• nelle zone ecologicamente sensibili, non possono convertire o arare i prati e pascoli permanenti;
• nelle altre zone, possono convertire i prati e pascoli permanenti, solo dopo l’autorizzazione di Agea.
Il caso dell’erba medica
Un’attenzione particolare va posta alla definizione di “prato e pascolo permanente” (art. 4, par. 1, lett. h), Reg. 1307/2013): terreno utilizzato per la coltivazione di erba o di altre piante erbacee da foraggio, naturali (spontanee) o coltivate (seminate), e non compreso nell’avvicendamento delle colture dell’azienda per almeno cinque anni o più.
Quindi, un medicaio diventa “prato e pascolo permanente” dopo il 5° anno dall’impianto ossia dal 6° anno. Pertanto, l’agricoltore può arare il medicaio il 6° anno, mantenendo sempre il terreno a seminativo. Ovvero, dopo il 6° anno l’agricoltore può arare il medicaio, che ritorna a seminativo.
Questa norma, che è sempre esistita nella Pac, desta molta apprensione tra gli agricoltori, ma la preoccupazione è irragionevole; la novità è che Agea intende fare i controlli.
Qual è il problema, in fase di controllo, se il medicaio diventa coltura permanente? Nessun problema.
L’unica attenzione è l’impegno del greening, che chiede all’agricoltore di comunicare 30 giorni prima ad Agea tramite il Caa, l’aratura del medicaio e il ritorno a seminativo. Agea non può opporsi, deve solo tenere i conti dell’evoluzione dei prati e pascoli permanenti in Italia.
L’unico vero vincolo esiste nelle zone sensibili, contemplate nelle direttive 92/43/Cee (direttiva “Habitat”) o 2009/147/Ce (direttiva “Uccelli”), dove è vietata la conversione dei prati e pascoli permanenti.
Su questa questione si stanno ingenerando paure ingiustificate.
Fonte: http://www.agricoltura24.com/come-mantenereprati-e-pascoli-permanenti/0,1254,54_ART_9026,00.html
PAN (Piano di Azione Nazionale), boom di divieti per i trattamenti
Diventerà sempre più complicato effettuare i trattamenti in campagna con diserbanti e antiparassitari. Con l'adozione da parte delle varie Regioni del cosiddetto Pan, il Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, sono previste limitazioni nella difesa fitosanitaria non solo allo scopo di ridurre i quantitativi di prodotti chimici utilizzati finora, incoraggiando la difesa integrata delle colture, ma verranno introdotte vere e proprie no fly zone, o meglio no spray zone, dove non sarà possibile effettuare trattamenti di alcun tipo.
Sensibili anche le piste ciclabili - È il caso delle limitazioni introdotte dal legislatore all'uso dei prodotti fitosanitari nei pressi di trattamentiaree utilizzate dalla popolazione, proposito condivisibile come è ovvio per evitare di trattare vicino ad aree come parchi pubblici, campi sportivi, scuole, parchi gioco, frequentate spesso da bambini e ragazzi. Ma fra le aree cosiddette sensibili sono state inserite anche le ciclabili. Sappiamo che i Comuni italiani hanno in questi anni introdot-to migliaia di chilometri di piste per ciclisti, spesso in sfregio ai campi agricoli o addirittura frazionando corpi aziendali. Ebbene, non tutti sanno, soprattutto i diretti interessati, gli agricoltori, che non si potrà trattare fasce di rispetto lungo le ciclabili di larghezza inferiore a 30 metri! In queste fasce, che per appezzamenti molto lunghi potrebbero rappresentare una parte sensibile della superficie aziendale, il Pan prevede il ricorso a mezzi alternativi per il controllo di malerbe e parassiti, come mezzi meccanici, fisici e biologici. La norma afferma anche che la distanza minima dalle piste ciclabili di 30 metri può essere ridotta a 10 metri se l'operatore utilizza misure di contenimento della deriva (ad esempio barre da diserbo a manica d'aria), fatte salve, però, misure più restrittive determinate dalle autorità locali competenti. In altre parole, i comuni o altri enti territoriali potrebbero comunque pretendere i 30 metri, pur in presenza delle suddette misure di contenimento della deriva.
Maggiori costi colturali - Che si tratti di 30 o 10 metri, evidentemente, per i malcapitati agricoltori che si trovano ad avere a che fare con le ciclabili, vengono introdotte vere e proprie limitazioni all'attività agricola, non immaginabili al momento della costruzione delle piste stesse. Trattandosi di divieti e vincoli, ne consegue l'insorgenza di maggiori costi colturali. A parte la seccatura di dover stare attenti a misurazioni di ogni tipo nel corso dei trattamenti, è ovvio che il ricorso al controllo meccanico delle malerbe lungo tali fasce di rispetto, oppure l'utilizzo, quando possibile, di tecniche di controllo biologico per insetti e patogeni fungini, imporrà ai produttori agricoli interessati come minimo maggiori costi, ma spesso l'impossibilità di coltivare le normali colture agrarie previste dall'ordinamento colturale. Come si potrà coltivare mais, barbabietola o pomodoro in tali aree reputate sensibili? Molti, come è lecito pensare, troveranno la soluzione di rimpiazzare il seminativo con prati, che non dovranno essere trattati. Il tutto, comunque, con maggiori costi e minori rese. E chi pagherà questi costi e mancati redditi? Ovvio, la norma a tal proposito non dice nulla.
Fasce tampone lungo i corsi d'acqua - Quindi tempi duri per gli agricoltori alla prese con tali fasce di rispetto. Ma non dobbiamo dimenticare che già oggi esistono strisce di terreno che non possono addirittura essere coltivate. È il caso delle fasce tampone lungo i corsi d'acqua, previste dalla norma della condizionalità dei premi Pac, in cui, secondo quanto normato dalle Regioni, da alcuni anni non è possibile coltivare lungo torrenti, fiumi o canali, per larghezze comprese fra 3 e 5 metri. Le fasce tampone, infatti, devono essere inerbite e comunque non fertilizzate, rappresentando una vera e propria tara aggiuntiva a quelle già presenti in azienda. Il loro rispetto, come sappiamo, è poi oggetto di controllo e di eventuale regime sanzionatorio sui premi comunitari.
Efa e azotofissatrici: 5-10 metri dai fossi -
Infine, la nuova Pac, secondo gli intendimenti del Mipaaf, potrebbe introdurre un'ulteriore limitazione nella coltivazione dei terreni agricoli. Nella bozza di decreto ministeriale di recepimento della nuova riforma, in corso di approvazione, è sì prevista la coltivazione delle colture azotofissatrici al fine di costituire le aree di interesse ecologico previste dal greening (Efa), ma tali colture non potranno essere effettuate a meno di 10 metri dal ciglio di sponda dei corpi idrici principali individuati dalle Regioni e comunque a meno di 5 metri dalle sponde dei canali secondari. Ciò obbligherà gli agricoltori costretti a costituire le Efa a non seminare leguminose lungo canali, fossi e fiumi, inserendo al loro posto vere e proprie fasce tampone inerbite.
Insomma, gli agricoltori, che si tratti di piste ciclabili, colture azotofissatrici e fasce tampone, dovranno armarsi di cordella metrica e calcolatrice. Il tutto con meno superficie coltivabile e maggiori costi di produzione.
PAC 2015-2020 – Diversificazione: come applicarla nel modo giusto
La diversificazione è uno dei tre impegni del greening (tab. 1) entrato in vigore con la nuova Pac, dal 1° gennaio 2015.
L'applicazione della diversificazione suscita molte domande per i suoi molteplici aspetti applicativi nei tanti casi pratici che caratterizzano l'agricoltura italiana.
Quando si applica?
La diversificazione delle colture si applica solamente ai seminativi, mentre le colture permanenti (frutteti, oliveti, vigneti, prati e pascoli permanenti) sono esentate.
Questo impegno si applica nelle aziende con più di 10 ettari a seminativo. L'impegno prevede la presenza di (tab. 2):
• almeno due colture nelle aziende la cui superficie a seminativo è compresa tra 10 e 30 ha, nessuna delle quali copra più del 75% della superficie a seminativo (tab. 3);
• almeno tre colture nelle aziende la cui superficie a seminativo è superiore a 30 ha, con la coltura principale che copre al massimo il 75% della superficie a seminativo e le due colture principali al massimo il 95% (tab. 4).
Nelle tabb. 3 e 4 sono riportati alcuni casi pratici di rispetto o non rispetto della diversificazione.
Le suddette percentuali non si applicano qualora l'erba o le altre piante erbacee da foraggio o i terreni lasciati a riposo occupino più del 75% dei seminativi. In tali casi, la coltura principale sui seminativi rimanenti non occupa più del 75% di tali seminativi rimanenti, salvo nel caso in cui dette superfici rimanenti siano occupate da erba o altre piante erbacee da foraggio o terreni lasciati a riposo (tab. 5).
Quando non si applica?
Gli impegni della diversificazione non si applicano nelle aziende:
• con superfici a seminativo inferiori a 10 ettari;
• i cui seminativi sono utilizzati per più del 75% per la produzione di erba o altre pian-te erbacee da foraggio, per terreni lasciati a riposo, o sottoposti a una combinazione di tali tipi di impieghi, a condizione che i seminativi non sottoposti a tali impieghi non siano superiore a 30 ettari (tab. 6);
• la cui superficie agricola ammissibile è costituita per più del 75% da prato permanente, utilizzata per la produzione di erba o altre piante erbacee da foraggio o per la coltivazione di colture sommerse (es. riso) o sottoposta a una combinazione di tali tipi di impieghi, a condizione che i seminativi non sottoposti a tali impieghi non siano superiore a 30 ettari (tab. 7);
• se oltre il 50% della superficie dichiarata a seminativo non è stata inserita dall'agricoltore nella propria domanda di aiuto dell'anno precedente (2014) e quando, in esito a un raffronto delle domande d'aiuto basate sulle ortofoto ricavate dalle immagini da satellite o da aereo, i seminativi risultano coltivati nella loro totalità con una coltura diversa da quella dell'anno precedente (2014).
La definizione di coltura
In base al Reg. 1307/2013 (art. 44, par. 4), per coltura si intende:
• una coltura appartenente a uno qualsiasi dei differenti generi della classificazione botanica delle colture;
• una coltura appartenente a una qualsiasi specie nel caso delle brassicacee (cavoli, broccoli, colza, ecc.), solanacee (pomodori, melanzane, peperoni, ecc.) e cucurbitacee (zucche, zucchine, meloni, cocomeri);
• i terreni lasciati a riposo;
• erba o altre piante erbacee da foraggio.
Facciamo alcuni esempi:
• il grano duro e il grano tenero non sono colture diverse, in quanto appartengono entrambi al genere Triticum; idem per la veccia, il favino e la fava, in quanto appartengono tutti al genere Vicia;
• il grano (genere Triticum) e l'orzo (genere Hordeum) sono colture diverse in quanto appartengono a generi diversi;
• il triticale viene classificato come appartenente al genere “Triticosecale”, quindi è una coltura diversa sia dal grano (Triticum) sia dalla segale (Secale).
Tutte le superfici seminate con miscugli di sementi, indipendentemente dalla composizione del miscuglio, si ritengono coperte da una singola coltura, denominata “coltura mista”. Ad esempio, una superficie ad erbaio misto di veccia e orzo, viene chiamata “coltura mista”.
La coltura invernale e la coltura primaverile sono considerate distinte anche se appartengono allo stesso genere; ad esempio un orzo invernale e un orzo primaverile sono considerate colture diverse.
La coltura diversificante
Il Reg.639/2014 (regolamento delegato sui pagamenti diretti) precisa che, in presenza di policoltura nello stesso anno, il periodo da considerare per l'individuazione della coltura diversificante è la parte più significativa del ciclo colturale, tenendo conto delle pratiche colturali tradizionali del contesto nazionale. Le rispettive quote delle diverse colture (2 o 3 colture) sono calcolate considerando che ogni ettaro della superficie totale a seminativi di un'azienda agricola è conteggiato una sola volta per ciascun anno di domanda.
In altre parole, su una superficie in cui si pratica la policoltura intercalare, coltivando una coltura seguita da una seconda coltura, la superficie si ritiene occupata esclusivamente da una sola coltura, detta “coltura diversificante”.
I paesi membri dovevano comunicare agli agricoltori il periodo che costituisce la parte più significativa del ciclo colturale. Il Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014 ha affidato questo compito ad Agea.
La Circolare Agea ACIU.2014.702 del 31 ottobre 2014 ha stabilito che il periodo nel quale si identificano le colture presenti in azienda ai fini della diversificazione va dal 1° aprile al 9 giugno, prendendo in considerazione le colture seminate o coltivate nel detto periodo di riferimento, che rappresenta la parte più significativa del ciclo colturale, comprendendo sia le colture autunno vernine (in fase conclusiva del loro ciclo) sia quelle primaverili estive (in fase iniziale del loro ciclo).
Il periodo di riferimento (1° aprile - 9 giugno) è il periodo all'interno del quale dev'essere rilevata la coltura diversificante; se in tale periodo sono presenti due o più colture, la coltura diversificante è quella con un periodo di coltivazione più lungo, facendo il conteggio dei giorni di ogni coltura dalla semina alla raccolta.
Il conteggio dei giorni, tuttavia, non è l'unico criterio per individuare la coltura diversificante. La Circolare Agea ACIU.2014.812 del 16 dicembre 2014 aggiunge che bisogna tener conto anche delle pratiche colturali tradizionali nel contesto nazionale.
A tale proposito, ad esempio, la suddetta Circolare Agea prevede, in relazione alle pratiche colturali tradizionali nel contesto nazionale, soprattutto per aree vocate, il mais da granella è sempre la coltura diversificante a meno che si tratti di secondo raccolto. Quindi il mais da granella è la coltura diversificante, anche se segue una coltura autunno-vernina (es. loietto) che presenta un conteggio di giorni più elevato (tab. 8).
Nel caso in cui la coltura autunno-vernina (es. loietto) è seguita da mais insilato, la coltura diversificante è il loietto, in quanto il mais si considera una seconda coltura (essendo a ciclo breve).
Analogamente nel caso in cui la coltura autunno-vernina è un cereale da granella (es. orzo da granella) a cui segue un mais da granella; in questo caso il mais è di secondo raccolto (ciclo breve) e la coltura diversificante è l'orzo (tab. 8).
Queste norme di Agea lasciano molta perplessità, sia per la complessità sia per le difficoltà interpretative. In tab. 8 riportiamo alcuni esempi.
Altri dettagli sulla diversificazione colturale
Nel caso di coltivazioni in cui si praticano simultaneamente due o più colture in filari distinti (policoltura contemporanea), ciascuna coltura è conteggiata come distinta quando occupa almeno il 25% della superficie complessiva.
La superficie coperta dalle colture distinte è calcolata dividendo la superficie coperta dalla policoltura per il numero di colture che coprono almeno il 25% della superficie, indipendentemente dalla quota effettiva di una coltura su di essa.
La superficie investita a una determinata coltura può inoltre comprendere elementi caratteristici del paesaggio.
Le aree degli elementi caratteristici del paesaggio che siano protette dalla condizionalità e/o considerate come EFA e che siano contenute nei seminativi aziendali, sono considerate parte della porzione corrispondente di seminativo e concorrono alla determinazione della superficie ammissibile ai fini della diversificazione colturale.
Controlli amministrativi e oggettivi
Al fine di consentire agli Organismi pagatori la verifica del rispetto delle diverse quote, gli agricoltori, prima della presentazione della domanda di aiuto, devono aggiornare il proprio fascicolo aziendale dichiarando nel piano colturale tutte le informazioni necessarie a identificare le colture principali, che occupano i terreni a seminativo dell'azienda. evitando sovrapposizioni.
Il controllo di tipo amministrativo viene svolto sul 100% delle aziende che devono rispettare l'obbligo della diversificazione ed è svolto sulla base delle dichiarazioni riportate nel piano colturale. I controlli di tipo oggettivo vengono svolti sul 5% delle aziende che devono rispettare l'obbligo della diversificazione ed è effettuato mediante telerilevamento seguito, ove necessario, da visite di campo.
Fonte: http://www.agricoltura24.com/diversificazione-come-applicarla-nel-modo-giusto/0,1254,54_ART_9018,00.html
Applicare il greening, domande e risposte
Dal 1° gennaio 2015 è entrata in vigore la nuova Pac, di cui il greening costituisce la novità più importante.
L’applicazione del greening preoccupa molti agricoltori e suscita molte domande; in effetti, la normativa sul greening è molto articolata e complessa. Man mano che la normativa viene completata dai decreti ministeriali e dalle circolari Agea (tab. 1), la complicazione aumenta e le incertezze sono sempre più numerose.
Tuttavia l’agricoltore non ha alternative: deve conoscere la nuova normativa e applicarla con la massima efficienza, garantendosi il percepimento di tutti gli aiuti, senza diminuire la produzione e senza aumentare i costi.
In questo articolo, affrontiamo le domande più frequenti degli agricoltori, alla luce dei recenti chiarimenti del Ministero e delle ultime circolari Agea, in particolare la Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 dicembre 2014, che fornisce importanti chiarimenti sulla diversificazione e sulle aree di interesse ecologico (EFA).
Localizzazione dei corpi aziendali sottoposti ai vincoli greening
Molte aziende sono costituite da più corpi aziendali, anche distanti tra loro, in alcuni casi in province diverse.
Come avviene il calcolo delle percentuali di diversificazione e delle EFA quando i seminativi si trovano in corpi aziendali differenti e discontinui della stessa azienda?
La definizione di “azienda” del Reg. 1307/2013 (art. 4) è la seguente: “tutte le unità usate per attività agricole e gestite da un agricoltore, situate nel territorio di uno stesso Stato membro”.
Questa definizione conferma chiaramente che ci si riferisce all’intero Stato Membro e non a una regione o ad altre delimitazioni geografiche. Quindi il calcolo della diversificazione e delle aree ecologiche dev’essere fatto sull’intera azienda, a prescindere dalle eventuali differenti dislocazioni delle unità aziendali.
Questa interpretazione presenta notevoli implicazioni per le situazioni nelle quali l’azienda agricola ha terreni sparsi sul territorio itaitaliano; ad esempio un agricoltore potrebbe coltivare interamente a mais un corpo aziendale a Cremona e destinare alle altre colture e alle EFA un corpo aziendale situato in Sardegna.
Greening per vigneti e oliveti
Un’azienda che ha solo superfici a vigneto e oliveto come fa a rispettare il greening e quindi a riscuotere il pagamento per il greening?
Gli impegni del greening sono (tab.2):
1) diversificazione delle colture (si applica ai seminativi);
2) mantenimento dei prati permanenti (si applica ai prati permanenti);
3) presenza un’area di interesse ecologico (si applica ai seminativi).
Un agricoltore che ha solo superfici a vigneto e oliveto non possiede seminativi e prati permanenti. Quindi non deve rispettare la diversificazione e le EFA, che si applicano alle aziende con una superficie a seminativi e non deve rispettare gli obblighi relativi ai prati permanenti. Di conseguenza, avendo diritto al pagamento di base e considerato che il greening è una percentuale del pagamento di base, l’agricoltore percepirà l’aiuto previsto per il greening senza dover praticare le tre azioni obbligatorie.
Tutte le sanzioni per il mancato rispetto
Un’azienda che dai controlli risulta non aver rispettato gli impegni del greening, viene sanzionata? Con quale gradualità?
Il mancato rispetto degli impegni del greening comporta l’applicazione di riduzioni sul pagamento “greening” (art. 77, par. 6, Reg. 1306/2013), in funzione della/e irregolarità riscontrate (articoli da 22 a 27 del regolamento UE n. 640/2014).
La riduzione dell’importo del pagamento greening, può arrivare al 100% nel caso di maggiore gravità del mancato rispetto.
I regolamenti non prevedono l’applicazione di sanzioni fino al 2017.
Dal 2017 in poi le irregolarità rilevate sul greening potranno tramutarsi in sanzioni applicabili anche sugli altri pagamenti.
Infatti, a partire dal 2017, il mancato rispetto del greening comporta una sanzione che va ad intaccare anche gli altri pagamenti (di importo pari al 20% del pagamento verde nel 2017 e pari al 25% dal 2018). In altre parole, dal 2017, l’agricoltore che non rispetta il greening perde tale pagamento e, in aggiunta, subisce una riduzione degli altri pagamenti pari al 20-25% del pagamento verde (tab. 3).
Coltura diversificante/1
Il periodo di riferimento
La circolare Agea ACIU 2014 n. 702 fissa il periodo per calcolare la diversificazione dal 1° aprile al 9 giugno. Nel caso di più colture che si succedono sulla stessa superficie quale è la coltura diversificante? Quella che viene per prima nel ciclo vegetativo? (Allora va stabilito da quando calcolo il ciclo). Oppure è quella che permane più a lungo nel periodo di os-servazione stabilito?
Faccio un esempio:
LOIETTO seminato il 27 ottobre 2014 e rac-colto il 10 aprile 2015. il 20 aprile viene seminato il MAIS DA GRANELLA che sarà raccolto il 15/09/2015.
Rispetto al ciclo colturale che, nella nostra zona va indicativamente dal 1° ottobre al 30 settembre dell’anno successivo, il loietto resta in campo 5 mesi e 14 giorni mentre il mais 4 mesi e 28 giorni quindi la coltura diversificante è certamente il loietto a semina autunnale.
Rispetto al periodo della circolare sopracitata per il loietto 10 giorni per il mais 1 mese e 20 giorni. In questo caso la coltura diver-sificante è senza dubbio il mais da granella.
Il periodo di riferimento (1° aprile-9 giugno) non è il periodo nel quale si riscontra la coltura principale, ma il periodo all’interno del quale devono essere comunque presenti le colture che si definiscono principali.
Quindi il periodo di coltivazione di ogni coltura sarà considerato nel suo complesso, ma deve comunque intercettare il periodo di riferimento.
Rispetto all’esempio, al di là del conteggio dei giorni di presenza in campo, la coltura di mais con ciclo di quasi 5 mesi non potrà essere considerata coltura secondaria.
Si consideri infatti l’articolo 40 del regolamento (UE) n. 639/2014, primo paragrafo: “1.
Ai fini del calcolo delle quote delle diverse colture di cui all’articolo 44, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1307/2013, il periodo da considerare è la parte più significativa del ciclo colturale, tenendo conto delle pratiche colturali tradizionali nel contesto nazionale.” In relazione alle pratiche colturali tradizionali nel contesto nazionale, soprattutto per aree vocate, il mais è sempre stata la coltura centrale a meno che si tratti di secondo raccolto.
(Fonte: Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 di-cembre 2014).
Coltura diversificante/2
Loietto-mais insilato
L’art. 40, paragrafo 1, del Reg. 639/2014, prevede che il periodo da considerare ai fini del calcolo delle quote delle diverse colture è la parte più significativa del ciclo colturale, tenendo conto delle pratiche colturali tradizionali nel contesto nazionale.
Quindi in presenza del seguente ordinamento colturale:
• LOIETTO - semina dal 01/10 al 20/10 e raccolta dal 01/05 al 20/05 ;
• in successione MAIS DA INSILATO - semina dal 20/05 al 15/06 raccolta dal 01/09 al 15/09.Quale è coltura diversificante, tenendo presente 8 mesi del loietto contro i 4 mesi del mais?
Il loietto è la coltura diversificante. Il mais è chiaramente una seconda PIANOterravitacoltura (ciclo breve). Se fosse stata una coltura di mais da granella la risposta sarebbe stata: il mais è la coltura diversificante (tab. 4).
Coltura diversificante/3
Loietto-mais granella
In presenza del seguente ordinamento colturale:
• LOIETTO - semina dal 01/10 al 20/10 e raccolta dal 01/05 al 20/05 ;
• in successione MAIS da granella - semina dal 20/05 al 15/06 raccolta dal 20/09 al 15/10.
quale è la coltura diversificante?
Il mais è la coltura diversificante. Agea, con Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 dicembre 2014, ha precisato che le colture di cereali con destinazione produttiva da granella sono considerate normalmente come coltura diversificante (tab. 4).
Di conseguenza, all’interno di una successione colturale dichiarata sul medesimo terreno, una coltura primaverile estiva come il mais da granella o il girasole non potrà essere considerata coltura secondaria.
La diversificazionecon loietto-mais in successione
Un’azienda di 30 ettari con:
• 20 ettari a MAIS CLASSE FAO 700
• 10 ettari a LOIETTO + MAIS CLASSE FAO 300-400
Nel piano colturale, redatto nel periodo febbraio-maggio, sarà indicato parte della superficie a loietto e parte a mais semina dal 01/03 al 15/04, in questo caso la diversificazione è rispettata?
Si, perché l’azienda ha esattamente 30 ettari di seminativo e deve prevedere la presenza di due colture.
Nel caso in questione sono presenti le due colture e la principale occupa il 66% del seminativo, quindi inferiore al 75% fissato come soglia massima dal regolamento.
Se avesse avuto anche un ettaro in più, la risposta sarebbe stata no, perché sarebbe mancata la terza coltura (o le terze colture).
Nel caso in questione:
• sui 20 ettari a Mais Classe FAO 700, la coltura diversificante è il mais, in quanto è l’unica coltura presente;
• sui 10 ettari a Loietto e Mais Classe FAO 300-400, la coltura diversificante è il loietto, in quanto è la coltura più presente nel terreno (7 mesi), mentre il mais con varietà a ciclo breve è considerato come seconda coltura.
Più colture presenti in azienda
Nel caso di un’Azienda che ha 30 ettari di seminativi con colture così distribuite:
Grano 8 ettari
Mais 6 ettari
Zucchina 1 ettari
Pomodoro 2 ettari
Favino 5 ettari
Veccia 8 ettari
tenendo conto che si tratta solo di primo raccolto, qual è la coltura principale?
La Circolare ACIU.2014.702 si riferisce alle colture principali in relazione alla presenza, sullo stesso terreno e nella stessa annata agraria, di una successione di colture diverse. Tra queste, il beneficiario dovrà indicare la principale, rispettando le condizioni riportate nella circolare stessa.
Nel regolamento (UE) n. 1307/2013, articolo 44, ci si riferisce alla coltura principale come quella che occupa la maggiore quantità di superficie tra i seminativi a disposizione dell’azienda. Nel caso esemplificato, le colture principali sono il grano e la veccia, con otto ettari ciascuna, di cui nessuna supera il 75% della superficie totale. Il fatto che ogni ettaro è investito a colture a unico raccolto elimina le eventuali ambiguità sull’identificazione della coltura principale ai fini della diversificazione su ogni singolo ettaro di seminativo.
(Fonte: Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 di-cembre 2014).
Azienda con solo erba
Un’azienda che produce solo erba ha assolto il greening per definizione?
Ad esempio, un’azienda che ha tutta la superficie investita a 160 ettari di erba medica non deve fare né diversificazione né Efa?
Un’azienda come quella indicata non deve fare diversificazione, perché tutti i suoi seminativi sono occupati da:
a) prato permanente, se il medicaio lascerà il terreno dopo 5 anni o più, oppure
b) colture per la produzione di erba o altre piante erbacee da foraggio.
Nel caso a), non deve rispettare i vincoli EFA, in quanto non ha più seminativi, ma dovrà rispettare i vincoli relativi ai prati permanenti.
Nel caso b), si considera aver rispettato il vincolo relativo alla presenza del 5% di EFA sui propri terreni, in quanto l’erba medica è tra le colture azotofissatrici elencate nell’allegato III del Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014.
Azienda con soia in rotazione
Una azienda che ha nel suo piano colturale:
20 ettari di grano,
10 ettari di soia,
6 ettari di sorgo,
rispetta gli impegni del greening?
Per quanto riguarda l’obbligo EFA lo può fare con 2,57 ettari di soia (2,57*0,7 =1,8 ettari di EFA, pari al 5% dei seminativi).
Il calcolo per la diversificazione è corretto:
• seminativi totali = 36 ettari;
• 20 ettari a grano, pari al 55%, inferiore al limite massimo del 75% per la coltura principale;
• 10 ettari a soia, pari al 28% circa, quindi le due colture principali (grano + soia) non superano il 95% del totale dei seminativi.
Per quanto riguarda le EFA, la soia, essendo un’azotofissatrice nell’allegato III del Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014, è considerata con un fattore di ponderazione pari a 0,7. Quindi 10 ettari di soia valgono (potenzialmente) fino ad 7 ettari di EFA.
(Fonte: Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 di-cembre 2014).
Soia come azotofissatricee pagamento accoppiato
Un agricoltore rispetta i requisiti EFA tramite la produzione di una coltura azotofissatrice (ad esempio la soia al nord e il favino al centrosud). Può ottenere il pagamento accoppiato per le colture proteiche sulle stesse superfici?
L’articolo 46(10) del Reg. 639/2014 indica che lo Stato Membro stabilisce una lista di colture azotofissatrici e che questa lista deve contenere le colture azotofissatrici che lo Stato membro ritiene contribuiscano a migliorare la biodiversità.
La stessa coltura può essere ammissibile sia per il pagamento accoppiato che per il greening poiché gli obiettivi assegnati ad ognuno di questi schemi sono diversi. Proprio per quest’ultimo motivo, i criteri per definire le colture ammissibili ai due schemi sono diversi.
In particolare, la decisione di premiare le colture proteiche tramite il sostegno accoppiato deve essere basata su criteri legati al loro elevato contenuto di proteine e non alle loro caratteristiche e importanza come colture azotofissatrici.
Azotofissatrici non in purezza
In riferimento all’articolo 45(10) del Reg. 639/2014, è possibile inserire semi misti di colture azotofissatrici e altre colture all’interno della lista delle colture azotofissatrici?
No. L’articolo 45(10) del Reg. 639/2014 non prevede, ai fini della determinazione delle EFA, la possibilità di mescolare colture azotofissatrici con altre specie, per esempio specie erbose.
Fonte: http://www.agricoltura24.com/applicare-il-greening-domande-e-risposte/0,1254,54_ART_8991,00.html
Applicare il greening, domande e risposte
L'applicazione del greening preoccupa molti agricoltori e suscita molte domande; in effetti, la normativa sul greening è molto articolata e complessa. Man mano che la normativa viene completata dai decreti ministeriali e dalle circolari Agea (tab. 1), la complicazione aumenta e le incertezze sono sempre più numerose. Tuttavia l'agricoltore non ha alternative: deve conoscere la nuova normativa e applicarla con la massima efficienza, garantendosi il percepimento di tutti gli aiuti, senza diminuire la produzione e senza aumentare i costi. In questo articolo, affrontiamo le domande più frequenti degli agricoltori, alla luce dei recenti chiarimenti del Ministero e delle ultime circolari Agea, in particolare la Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 dicembre 2014, che fornisce importanti chiarimenti sulla diversificazione e sulle aree di interesse ecologico (EFA).
Localizzazione dei corpi aziendali sottoposti ai vincoli greening
Molte aziende sono costituite da più corpi aziendali, anche distanti tra loro, in alcuni casi in province diverse. Come avviene il calcolo delle percentuali di diversificazione e delle EFA quando i seminativi si trovano in corpi aziendali differenti e discontinui della stessa azienda?
La definizione di “azienda” del Reg. 1307/2013 (art. 4) è la seguente: “tutte le unità usate per attività agricole e gestite da un agricoltore, situate nel territorio di uno stesso Stato membro”. Questa definizione conferma chiaramente che ci si riferisce all'intero Stato Membro e non a una regione o ad altre delimitazioni geografiche. Quindi il calcolo della diversificazione e delle aree ecologiche dev'essere fatto sull'intera azienda, a prescindere dalle eventuali differenti dislocazioni delle unità aziendali. Questa interpretazione presenta notevoli implicazioni per le situazioni nelle quali l'azienda agricola ha terreni sparsi sul territorio italiano; ad esempio un agricoltore potrebbe coltivare interamente a mais un corpo aziendale a Cremona e destinare alle altre colture e alle EFA un corpo aziendale situato in Sardegna.
Greening per vigneti e oliveti
Un'azienda che ha solo superfici a vigneto e oliveto come fa a rispettare il greening e quindi a riscuotere il pagamento per il greening?
Gli impegni del greening sono (tab. 2): 1) diversificazione delle colture (si applica ai seminativi); 2) mantenimento dei prati permanenti (si applica ai prati permanenti); 3) presenza un'area di interesse ecologico (si applica ai seminativi). Un agricoltore che ha solo superfici a vigneto e oliveto non possiede seminativi e prati permanenti. Quindi non deve rispettare la diversificazione e le EFA, che si applicano alle aziende con una superficie a seminativi oltre una certa soglia e non deve rispettare gli obblighi relativi ai prati permanenti. Di conseguenza, avendo diritto al pagamento di base e considerato che il greening è una percentuale del pagamento di base, l'agricoltore percepirà l'aiuto previsto per il greening senza dover praticare le tre azioni obbligatorie.
Tutte le sanzioni per il mancato rispetto
Un'azienda che dai controlli risulta non aver rispettato gli impegni del greening, viene sanzionata? Con quale gradualità?
Il mancato rispetto degli impegni del greening comporta l'applicazione di riduzioni sul pagamento “greening” (art. 77, par. 6, Reg. 1306/2013), in funzione della/e irregolarità riscontrate (articoli da 22 a 27 del regolamento (UE) n. 640/2014). La riduzione dell'importo del pagamento greening, può arrivare al 100% nel caso di maggiore gravità del mancato rispetto. I regolamenti non prevedono l'applicazione di sanzioni fino al 2017. Dal 2017 in poi le irregolarità rilevate sul greening potranno tramutarsi in sanzioni applicabili anche sugli altri pagamenti. Infatti, a partire dal 2017, il mancato rispetto del greening comporta una sanzione che va ad intaccare anche gli altri pagamenti (di importo pari al 20% del pagamento verde nel 2017 e pari al 25% dal 2018). In altre parole, dal 2017, l'agricoltore che non rispetta il greening perde tale pagamento e, in aggiunta, subisce una riduzione degli altri pagamenti pari al 20-25% del pagamento verde (tab. 3).
Coltura diversificante/1 Il periodo di riferimento
La circolare Agea ACIU 2014 n. 702 fissa il periodo per calcolare la diversificazione dal 1 aprile al 9 giugno. Nel caso di più colture che si succedono sulla stessa superficie quale è la coltura diversificante? Quella che viene per prima nel ciclo vegetativo? (Allora va stabilito da quando calcolo il ciclo). Oppure è quella che permane più a lungo nel periodo di osservazione stabilito? Faccio un esempio: LOIETTO seminato il 27 ottobre 2014 e raccolto il 10 aprile 2015. il 20 aprile viene seminato il MAIS DA GRANELLA che sarà raccolto il 15/09/2015. Rispetto al ciclo colturale che, nella nostra zona va indicativamente dal 1° ottobre al 30 settembre dell'anno successivo, il loietto resta in campo 5 mesi e 14 giorni mentre il mais 4 mesi e 28 giorni quindi la coltura diversificante è certamente il loietto a semina autunnale. Rispetto al periodo della circolare sopracitata per il loietto 10 giorni per il mais 1 mese e 20 giorni. In questo caso la coltura diversificante è senza dubbio il mais da granella.
Il periodo di riferimento non è il periodo nel quale si riscontra la coltura principale, ma il periodo all'interno del quale devono essere comunque presenti le colture che si definiscono principali. Quindi il periodo di coltivazione di ogni coltura sarà considerato nel suo complesso, ma deve comunque intercettare il periodo di riferimento. Rispetto all'esempio, al di là del conteggio dei giorni di presenza in campo, la coltura di mais con ciclo di quasi 5 mesi non potrà essere considerata coltura secondaria. Si consideri infatti l'articolo 40 del regolamento (UE) n. 639/2014, primo paragrafo: “1.Ai fini del calcolo delle quote delle diverse colture di cui all'articolo 44, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1307/2013, il periodo da considerare è la parte più significativa del ciclo colturale, tenendo conto delle pratiche colturali tradizionali nel contesto nazionale.” In relazione alle pratiche colturali tradizionali nel contesto nazionale, soprattutto per aree vocate, il mais è sempre stata la coltura centrale a meno che si tratti di secondo raccolto. (Fonte: Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 dicembre 2014).
Coltura diversificante/2 Loietto-mais insilato
L'art. 40, paragrafo 1, del Reg. 639/2014, prevede che il periodo da considerare ai fini del calcolo delle quote delle diverse colture è la parte più significativa del ciclo colturale, tenendo conto delle pratiche colturali tradizionali nel contesto nazionale. Quindi in presenza del seguente ordinamento colturale: • LOIETTO - semina dal 01/10 al 20/10 e raccolta dal 01/05 al 20/05 • in successione MAIS DA INSILATO - semina dal 20/05 al 15/06 raccolta dal 01/09 al 15/09. Quale è coltura diversificante, tenendo presente 8 mesi del loietto contro i 4 mesi del mais?
Il loietto è la coltura diversificante. Il mais è chiaramente una seconda coltura (ciclo breve). Se fosse stata una coltura di mais da granella la risposta sarebbe stata: il mais è la coltura diversificante (tab. 4).
Coltura diversificante/3 Loietto-mais granella
In presenza del seguente ordinamento colturale: • LOIETTO - semina dal 01/10 al 20/10 e raccolta dal 01/05 al 20/05 • in successione MAIS da granella - semina dal 20/05 al 15/06 raccolta dal 20/09 al 15/10. quale è la coltura diversificante?
Il mais è la coltura diversificante. Agea, con Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 dicembre 2014, ha precisato che le colture di cereali con destinazione produttiva da granella sono considerate normalmente come coltura diversificante (tab. 4). Di conseguenza, all'interno di una successione colturale dichiarata sul medesimo terreno, una coltura primaverile estiva come il mais da granella o il girasole non potrà essere considerata coltura secondaria.
La diversificazione con loietto-mais in successione
Un'azienda di 30 ettari con: • 20 ettari a MAIS CLASSE FAO 700 • 10 ettari a LOIETTO + MAIS CLASSE FAO 300-400 Nel piano colturale, redatto nel periodo febbraio-maggio, sarà indicato parte della superficie a loietto e parte a mais semina dal 01/03 al 15/04, in questo caso la diversificazione è rispettata?
Sì, perché l'azienda ha esattamente 30 ettari di seminativo e deve prevedere la presenza di due colture. Nel caso in questione sono presenti le due colture e la principale occupa il 66% del seminativo, quindi inferiore al 75% fissato come soglia massima dal regolamento. Se avesse avuto anche un ettaro in più, la risposta sarebbe stata no, perché sarebbe mancata la terza coltura (o le terze colture). Diverso è il discorso rispetto al mais di secondo raccolto, con varietà a ciclo breve, che può essere considerato come seconda coltura. Nel caso in questione: • sui 20 ettari a Mais Classe FAO 700, la coltura diversificante è il mais, in quanto è l'unica coltura presente; • sui 10 ettari a Loietto e Mais Classe FAO 300-400, la coltura diversificante è il loietto, in quanto è la coltura più presente nel terreno (7 mesi), mentre il mais con varietà a ciclo breve è considerato come seconda coltura.
Più colture presenti in azienda
Nel caso di un'Azienda che ha 30 ettari di seminativi con colture così distribuite: Grano 8 ettari Mais 6 ettari Zucchina 1 ettari Pomodoro 2 ettari Favino 5 ettari Veccia 8 ettari tenendo conto che si tratta solo di primo raccolto, qual è la coltura principale?
La Circolare ACIU.2014.702 si riferisce alle colture principali in relazione alla presenza, sullo stesso terreno e nella stessa annata agraria, di una successione di colture diverse. Tra queste, il beneficiario dovrà indicare la principale, rispettando le condizioni riportate nella circolare stessa. Nel regolamento (UE) n. 1307/2013, articolo 44, ci si riferisce alla coltura principale come quella che occupa la maggiore quantità di superficie tra i seminativi a disposizione dell'azienda. Nel primo caso esemplificato, le colture principali sono il grano e la veccia, con otto ettari ciascuna, di cui nessuna supera il 75% della superficie totale. Il fatto che ogni ettaro è investito a colture a unico raccolto elimina le eventuali ambiguità sull'identificazione della coltura principale ai fini della diversificazione su ogni singolo ettaro di seminativo. (Fonte: Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 dicembre 2014).
Azienda con solo erba
Un'azienda che produce solo erba ha assolto il greening per definizione? Ad esempio, un'azienda che ha tutta la superficie investita a 160 ettari di erba medica non deve fare né diversificazione né Efa?
Un'azienda come quella indicata non deve fare diversificazione, perché tutti i suoi seminativi sono occupati da: a) prato permanente, se il medicaio lascerà il terreno dopo 5 anni o più, oppure b) colture per la produzione di erba o altre piante erbacee da foraggio. Nel caso a), non deve rispettare i vincoli EFA, in quanto non ha più seminativi, ma dovrà rispettare i vincoli relativi ai prati permanenti. Nel caso b), si considera aver rispettato il vincolo relativo alla presenza del 5% di EFA sui propri terreni, in quanto l'erba medica è tra le colture azotofissatrici elencate nell'allegato III del Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014.
Azienda con soia in rotazione
Una azienda che ha nel suo piano colturale: 20 ettari di grano, 10 ettari di soia, 6 ettari di sorgo, rispetta gli impegni del greening? Per quanto riguarda l'obbligo EFA lo può fare con 2,57 ettari di soia (2,57*0,7 =1,8 ettari di EFA, pari al 5% dei seminativi).
Il calcolo per la diversificazione è corretto: • seminativi totali = 36 ettari; • 20 ettari a grano, pari al 55%, inferiore al limite massimo del 75% per la coltura principale; • 10 ettari a soia, pari al 28% circa, quindi le due colture principali (grano + soia) non superano il 95% del totale dei seminativi. Per quanto riguarda le EFA, la soia, essendo un'azotofissatrice nell'allegato III del Decreto ministeriale n. 6513 del 18 novembre 2014, è considerata con un fattore di ponderazione pari a 0,7. Quindi 10 ettari di soia valgono (potenzialmente) fino ad 7 ettari di EFA. (Fonte: Circolare n. ACIU.2014.812 del 16 dicembre 2014).
Soia come azotofissatrice e pagamento accoppiato
Un agricoltore rispetta i requisiti EFA tramite la produzione di soia (coltura azotofissatrice, ad esempio la soia al nord e il favino al centro-sud). Può ottenere il pagamento accoppiato per le colture proteiche sulle stesse superfici?
L'articolo 46(10) del Reg. 639/2014 indica che lo Stato Membro stabilisce una lista di colture azotofissatrici e che questa lista deve contenere le colture azotofissatrici che lo Stato membro ritiene contribuiscano a migliorare la biodiversità. La stessa coltura può essere ammissibile sia per il pagamento accoppiato che per il greening poiché gli obiettivi assegnati ad ognuno di questi schemi sono diversi. Proprio per quest'ultimo motivo, i criteri per definire le colture ammissibili ai due schemi sono diversi. In particolare, la decisione di premiare le colture proteiche tramite il sostegno accoppiato deve essere basata su criteri legati al loro elevato contenuto di proteine e non alle loro caratteristiche e importanza come colture azotofissatrici.
Azotofissatrici non in purezza
In riferimento all'articolo 45(10) del Reg. 639/2014, è possibile inserire semi misti di colture azotofissatrici e altre colture all'interno della lista delle colture azotofissatrici?
No. L'articolo 45(10) del Reg. 639/2014 non prevede, ai fini della determinazione delle EFA, la possibilità di mescolare colture azotofissatrici con altre specie, per esempio specie erbose.