Il calo dei consumi che va avanti da anni non era sufficiente. Le ritorsioni russe all’embargo europeo neanche. Allora, per dare un altro colpo all’agricoltura italiana ci voleva l’Europa. Un doppio colpo: il taglio dei fondi della Pac (politica agricola comune) di oltre sei miliardi di euro, in termini reali, per il periodo 2014-2020; e l’abolizione delle quote latte dal 2015. Proprio quelle che i leghisti, ma non solo, volevano a tutti i costi abolire e di cui oggi stanno scoprendo l’importanza, perché la loro abolizione ci farà sommergere di latte dell’Est a basso prezzo. Può bastare? No, perché la Commissione europea ha in mente di tagliare altri 448,5 milioni di euro dalla Pac, per finanziare altre politiche a corto di risorse, le misure contro la diffusione del virus Ebola e soprattutto il problema del blocco russo all’ importazione.
Pac, le forbici europee
Forse non tutti lo sanno, ma alle politiche agricole viene destinata la parte maggiore dei fondi europei. L’Europa si è fatta le ossa proprio sull’agricoltura e ha messo a punto parlando di campi e bestiame gli strumenti di negoziazione, complessi al limite del barocco, che oggi vengono presi a modello per l’unione bancaria. Fino agli anni Ottanta alla Pac andava il 70% del bilancio Ue, a sua volta pari a circa l’1% del Pil degli Stati dell’Unione. Poi il peso è cominciato a scendere inesorabilmente, di settennato in settennato. Nel 2007-2013 la quota era calata al 43 per cento. Per il 2014-2020, dopo due anni e mezzo di discussioni interminabili, è stata fissata al 38 per cento. In soldoni, sono 362,79 miliardi di euro.
Negli ultimi decenni la scelta di Parlamento, Commissione e Paesi membri è stata quella di far crescere gli stanziamenti per la competitività e per la coesione sociale, sia con una ripartizione tra Stati sia con programmi che premiano i progetti europei sulla base della qualità, indipendentemente dalla provenienza, come Horizon 2020. Così alla Politica agricola comune (che rappresenta la quasi totalità della Rubrica 2 del bilancio Ue, o Qfp nel gergo inaccessibile di Bruxelles) nel periodo 2014-2020 sono stati tagliati fondi, rispetto ai sette anni precedenti, per l’11,3 per cento, ossia per 47,5 miliardi di euro. Questo se si ragiona a prezzi costanti del 2011, cioè quelli che contano veramente, mentre c’è un minimo avanzamento se si tengono in considerazione i prezzi a valore corrente.
Fonte: Gruppo 2013, la Pac 2014-2020, Le decisioni dell’Ue e le scelte nazionali. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui
Chiaro? Allora siete pronti per la seconda tornata di numeri. La Pac si basa su due componenti, che vengono chiamate pilastri. Il primo è quello dei pagamenti diretti agli agricoltori, sussidi veri e propri, che pesano, per capire che non si parla di briciole, attorno al 20% del reddito delle aziende agricole, inteso come differenza tra ricavi e costi. C’è poi il secondo pilastro, quello per lo sviluppo agricolo: sono i soldi che l’Europa mette per i progetti destinati all’agricoltura, con un finanziamento del 50 per cento. L’altra metà la mettono gli Stati oppure le regioni. Il primo pilastro è quello che è stato tagliato di più: da 317 a 277 miliardi di euro, il 12% in termini costanti.
Il nuovo taglio per la crisi russa
Se tutti questi tagli sono già stati decisi, e indietro non si torna, per il bilancio 2015 è in corso una nuova battaglia. La Commissione Ue si è detta intenzionata a tagliare le risorse destinate alla Pac di altri 448,5 milioni di euro. Per essere più precisi, ha deciso che questi soldi, che farebbero parte di una riserva per emergenze legate all’agricoltura (da una malattia delle piante alla mucca pazza), siano usati per fronteggiare l’emergenza Ebola e la crisi russa. I ministri dell’agricoltura dei Paesi Ue, il cosiddetto Consiglio dell’agricoltura, hanno annunciato battaglia e chiesto al nuovo Commissario europeo all’Agricoltura, Phil Hogan, di fare marcia indietro. Lo stesso hanno fatto i cordinatori dei maggiori gruppi politici nel Parlamento europeo. La decisione è attesa per il 15 novembre, quando il Consiglio deve trovare un accordo con il Parlamento europeo sulla revisione del budget.
Italia, pagamenti diretti giù del 20 per cento
Eccoci all’Italia. Sui nostri campi pesavano due macigni: da una parte il taglio generalizzato della Pac a livello europeo. Dall’altra due parole in apparenza innocue, “convergenza esterna”. Il cui significato è però pesante: i Paesi che negli anni precedenti avevano ricevuto una quota maggiore di risorse dalla Pac dovranno dare parte delle risorse a chi ne riceveva al di sotto della media. Entro il 2019 chi ha avuto nel 2009 pagamenti diretti (primo pilastro) inferiori al 90% della media dovrà avere il 30% di risorse in più. I beneficiari, sottolinea uno studio del Gruppo 2013 di Coldiretti, sono soprattutto i Paesi dell’Est: Romania, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Slovacchia, ma anche Spagna, Regno Unito e Portogallo.
Il costo in termini di minori pagamenti diretti per gli agricoltori è di circa 280 milioni l’anno. A valori costanti, le risorse di pagamenti diretti della Pac si ridurranno del 18,6% (da 29,4 a 24 miliardi), rispetto a una riduzione della media Ue del 12 per cento. Se si considera che le misure relative alla regolazione dei mercati agricoli (la cosiddetta Ocm) si riducono a prezzi costanti del 28 per cento (da 4,7 a 3,3 miliardi), tutto il primo pilastro scende del 20% a prezzi costanti, cioè 6,8 miliardi. Se si ignorasse l’inflazione il calo sarebbe di 8 punti percentuali, pari a 2,75 miliardi.
Fonte: Gruppo 2013, la Pac 2014-2020, Le decisioni dell’Ue e le scelte nazionali. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui
Il recupero sullo sviluppo
Siamo quindi stati soltanto bastonati dalla Ue? Per fortuna no. Nelle contrattazioni siamo stati in grado di recuperare sul secondo pilastro, quello destinato agli interventi di sviluppo agricolo. Mentre l’Europa tagliava su questa voce i fondi dell’11% (10,8 miliardi), Italia e Francia sono riuscite a farsi aumentare i fondi: noi dell’1,4% (128 milioni a prezzo costanti in sette anni), i cugini d’Oltralpe del 14% (1,1 miliardi). A prezzi costanti (del 2011) possiamo disporre di 9,266 miliardi, a cui dovranno corrispondere altrettanti fondi di Stato e regioni.
A conti fatti, l’Europa ci dà 41,2 miliardi di euro per la Pac (36 a prezzi costanti). Sui giornali e nelle dichiarazioni dei politici si parla invece sempre di 52 miliardi. Perché? Perché si considerano anche 10,4 miliardi che saranno messi dal cofinanziamento nazionale.
Quanto perdiamo in totale? Considerando i prezzi costanti del 2011, 6,72 miliardi di euro, da 43,3 a 36,6 miliardi. Considerando i valori nominali, 1,31 miliardi, da 42,5 a 41,2 miliardi.
Su come distribuire i fondi tra regioni e Stato le polemiche non sono mancate. Le coperture assicurative o i consorzi di difesa, per esempio, spiega a Linkiesta Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Lombardia, sono passate dal primo pilastro (tutti fondi europei passate allo Stato) al secondo. «Ci sono alcune risorse che dovevano essere in capo al primo pilastro e a cui invece è stato chiesto il cofinanziamento alle regioni», commenta. Ma aggiunge che ci sono stati anche dei miglioramenti: «Con le nuove regole c’è una premialità maggiore per le regioni che hanno speso meglio in passato. Così alla Lombardia spetterà il 13% in più per il secondo pilastro, ossia 131 milioni di euro - commenta Prandini -. Inoltre, se una regione spende il 100% e un’altra regione spende, per propria inefficienza, il 50%, la metà rimanente potrà essere usata dalle altre regioni».
Pagatori puniti
L’Italia ha ricevuto soldi dalla Pac in modo superiore alla media, e per questo sarà penalizzata. Ineccepibile. Meglio però ricordare che noi, come gli altri Paesi “ricchi”, diamo più soldi al bilancio europeo di quanti ne riceviamo. Di quanto? Nel 2012, a prezzi correnti, il saldo netto era negativo per 5 miliardi di euro (a prezzi correnti), considerando tutto il bilancio (Qfp), di cui la Pac pesa per circa quattro decimi. Nel periodo 2007-2013 la media è stata di 4,5 miliardi all’anno (a prezzi costanti del 2011). La buona notizia è che nel periodo 2014-2020 il contributo calerà, e sarà di 3,8 miliardi ai prezzi del 2011.
C’è un altro aspetto da considerare, dice Pino Cornacchia, responsabile dello sviluppo economico della Cia, Confederazione italiana agricoltori. «È vero che diamo più soldi alla Ue di quanti ne riceviamo. Ma se non ci fosse la Ue, l’Italia non spenderebbe mai una cifra pari a quella della Pac per finanziare l’agricoltura europea, metterebbe i soldi su altre voci di spesa, come la sanità».
Fonte: Gruppo 2013, la Pac 2014-2020, Le decisioni dell’Ue e le scelte nazionali. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui
Vino, pomodori, vacche: vincitori e vinti
Le novità su chi beneficerà dei fondi non riguardano solo i soldi per lo sviluppo che vanno alle regioni. Le due parole magiche in questo caso sono “convergenza interna”. Chi riceveva di più, questa volta tra le categorie di prodotti, dovrà cedere i fondi a chi prendeva di meno. Un titolo (cioè un sussidio, nel gergo europeo) che oggi vale mille euro all’ettaro, nel 2015 varrà circa 800, per effetto dei tagli di bilancio. Poi, nel 2017, potrà ridursi fino al 30% a partire dal valore del 2015. Prodotti come la zootecnia da carne, i pomodori da industria, il tabacco e il riso, spiega a Linkiesta Denis Pantini, direttore dell'Area Agroalimentare di Nomisma, avevano un sussidio di circa mille euro all’ettaro. Altri, come il vino o la frutta, non avevano nulla, e cominceranno a ricevere i fondi. Il valore medio a cui tendere è di 280 euro a ettaro. Ma non si arriverà subito, perché vino e frutta nel 2017 arriveranno al 60% di questa cifra, quindi 150 euro, mentre chi aveva mille non potrà scendere più del 30 per cento rispetto al valore del 2015.
Al di là dei numeri, le conseguenze si faranno sentire e l’impatto sarà diverso da regione a regione. Le zone di montagna escono vincitrici, perché i pascoli saranno per la prima volta sussidiati. Stesso discorso per l’Emilia-Romagna e la Toscana, zone produttrici di frutta, e per tutte le regioni che producono vino. Le zone produttrici di pomodori da industria, come Campania o Sicilia, escono invece sconfitte, anche perché tagli arriveranno anche per oliveti e agrumeti. Ne esce abbastanza malconcia anche la Lombardia, per i suoi allevamenti animali. Secondo Prandini il calo si sentirà, ma i timori erano di tagli ben maggiori. «In Lombardia si prevedeva fino a un anno fa una riduzione del 40-60 per cento. Ora, grazie alle correzioni sulla zootecnia, saranno del 10-15 per cento».
A fissare le nuove regole, dopo una lunga negoziazione con le regioni, è stato un decreto del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), approvato il 31 ottobre scorso.
Chiusure in vista?
Sono tagli che mettono a rischio la sopravvivenza delle aziende agricole? «In un momento già difficile per l’agricoltura italiana, il taglio deciso dalla Ue è significativo e mette in difficoltà le nostre imprese - commenta Prandini di Coldiretti -. Purtroppo oggi le risorse che provengono dalla Pac sono fondamentali per determinare una chiusura in positivo o in negativo di un bilancio. Ci accorgiamo del ruolo dell’agricoltura solo quando ci sono casi di dissesto agricolo, e ne ignoriamo i problemi per il resto del tempo. Spesso se ci sono smottamenti è perché le aziende hanno lasciato attività che non erano più redditizie». Per aziende di zootecnia che producono carne (esclusa quella suina) o latte, i sussidi pesano per circa il 15% del fatturato, aggiunge Prandini.
Secondo Pantini, Nomisma, il problema è però meno grave. «Il taglio incide solo sulle aziende che hanno la marginalità più bassa, cioè su chi si affida ai sussidi per sopravvivere».
Anche per Cornacchia, della Cia, il taglio atteso era molto superiore a quello effettivo. «A fronte della discesa dei contributi diretti, c’è stato un aumento di fondi per lo sviluppo rurale. Sono questi strumenti che creano lo sviluppo, molto più dei sussidi, a patto di saperli usare bene».
L’aeroporto saluta i sussidi
Tra gli aspetti della nuova Pac, così come decisa dal decreto ministeriale del Mipaaf del 31 ottobre, ce ne sono anche altri visti con favore dagli agricoltori. Tra questi c’è stato il taglio di tutti i pagamenti diretti a una serie di soggetti che non c’entravano nulla con l’agricoltura. L’elenco è lungo: aeroporti, servizi ferroviari, impianti idrici, servizi immobiliari, terreni sportivi e aree ricreative permanenti, soggetti che svolgono intermediazione bancaria, finanziaria e/o commerciale, società, cooperative e mutue assicurazioni che svolgono attività di assicurazione e/o di riassicurazione, pubbliche amministrazioni. Ma quanto pesavano i fondi dati a tutti questi soggetti? Non troppo, avverte Pantini di Nomisma: circa il 2-3% dei fondi per i pagamenti diretti. Considerato che nel 2007-2013 i pagamenti diretti sono stati pari a 29 miliardi, si parlerebbe comunque di più mezzo miliardo di euro in sette anni. Dal Mipaaf, tuttavia, parlano di cifre molto più basse, nell’ordine di 15 milioni di euro.
Secondo Prandini, Coldiretti, è un’ottima notizia, «perché i pagamenti per un prato verde in un aeroporto erano un’anomalia. Stante che i soldi sono diminuiti, è giusto che vadano a chi è effettivamente un agricoltore».
In effetti lo scopo dell’esclusione di questi soggetti è dovuta all’individuazione dei “coltivatori attivi”, cioè delle persone che davvero lavorano la terra. Sono stati individuati dei criteri (come il fatto che i terreni non siano troppo piccoli), ma spiega Cornacchia della Cia, «si poteva fare molto di più ed essere molto più selettivi».
Tra le novità c’è quella di aver messo un tetto ai sussidi, che non potranno superare i 500mila euro (esclusi i benefici sui contributi per i lavoratori). Chi riceve più di 150mila euro, inoltre, si è visto tagliare i pagamenti diretti del 50 per cento. Anche questo, per Prandini è positivo: «È giusto concentrare le risorse su chi di agricoltura vive. Chi riceveva più di 500mila euro di sussidi spesso era legato a una banca o a una compagnia di assicurazioni».
Braccia ridate all’agricoltura
Una delle poche voci cresciute, tra i tagli dei pagamenti diretti, è quella dei fondi per i giovani. Saranno aumentati del 25% e toccheranno 80 milioni di euro. Si tratta di aiuti diretti per aziende agricole condotte da under 40. Un segnale positivo, che è volto a incoraggiare una crescita degli occupati tra i giovani in agricoltura che è continuata nonostante (o forse proprio grazie) alla crisi economica.
La battaglia del greening
Un altro aspetto su cui gli operatori tirano un sospiro di sollievo è quello del greening. Di che si tratta? Di una serie di misure che la Ue prevede per interventi ambientali e paesaggistici. La Pac, infatti, negli anni è passata dal concentrarsi solo su aspetti di produzione a misure di tipo anche ambientale, dettate dal Regolamento 1307/2013. Tre sono le misure da prendere: la diversificazione delle colture, il mantenimento dei prati permanenti e l’introduzione di “aree di interesse ecologico”. Non si tratta di briciole, perché alla componente verde dei pagamenti diretti è riservato il 30% del massimale nazionale. In soldoni, l’Italia se non rispetta le regole rischia di perdere un miliardo all’anno.
Anche su questo però si è trovata una mediazione. Gli Stati dell’Europa del Sud hanno fatto notare che è più facile mettere aree di interesse ecologico (per il 5% della superficie) su un prato di pascolo piuttosto che in un filare di viti o in uliveto. È quindi rimasta, spiegano tutti gli interlocutori, una versione più blanda, che prevede la rotazione dei terreni. Fino a 30 ettari sarà necessario avere almeno due colture contemporaneamente, oltre i 30 ettari di terreno almeno tre colture. Una misura che può penalizzare i produttori di mais o di riso del Nord Italia, ma che è spesso già praticata autonomamente per evitare l’impoverimento dei terreni da monocoltura.
E le quote latte?
Sono state la grande battaglia della Lega Nord, che difese in mille modi gli “splafonatori”, cioè gli allevatori che produssero più latte di quanto consentito dagli accordi con l’Ue (decisi nel 1983) e che furono perciò multati. Una serie di coperture politiche agli allevatori, ricostruite in un articolo di Sergio Rizzo del Corriere della Sera, costò allo Stato italiano un conto da 4,5 miliardi di euro. Dal 2015 le famose quote latte saranno abolite. I produttori sono contenti? Tutt’altro. «È una pessima notizia - commenta Prandini di Coldiretti - perché le quote latte hanno garantito che ci fosse una produzione limitata e che fosse tutelata la qualità. Ora ci saranno Paesi europei che aumenteranno tantissimo i volumi» e quindi abbasseranno i prezzi. E le multe? «Ci siamo distinti come un Paese che non rispetta le norme - continua -. Non saremmo a parlare di multe 25 anni dopo, se avessimo rispettato le regole». Ora sarà il mercato a dettare le sue.
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